LA TRAGEDIA DI LAVAGNA

È augurabile, è sperabile che il Governo e i parlamentari tutti meditino sulle parole del generale Renzo Nisi, il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Genova che ha gestito la perquisizione nell’appartamento di Giovanni Bianchi, il sedicenne di Lavagna trovato in possesso con pochi grammi di hashish, e che si è suicidato gettandosi dalla finestra. Nisi, intervistato dal Giorno, alla domanda: con il senno di oggi, rifarebbe quel blitz? «Umanamente dico di no. Col senno di poi immaginerei sicuramente un intervento diverso, con un supporto psicologico presente in casa. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni. Conoscendo l’esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo». Non si fanno blitz per uno spinello Chiedete al generale Nisi

Il generale dice una cosa semplice, perfino lapalissiana: quando un cittadino chiede aiuto, c’è il dovere di aiutarlo nel miglior modo possibile. E l’aiuto è stato chiesto, dalla madre del ragazzo suicida. Ora nessuno vuole fare psicologia ai quattro formaggi, come troppe volte s’usa fare nei programmi TV e nei giornali. Perché non è giusto in assoluto, e perché insondabili sono i percorsi mentali che si possono agitare, e ingiudicabili. Il problema è quello individuato dal generale: quello di individuare e immaginare un «intervento diverso con un supporto psicologico».

Il fatto è che questo intervento diverso non è contemplato nelle attuali leggi che questo paese si è dato; anzi, l’intervento previsto e prescritto è proprio quello che poi si è concluso nel modo tragico che sappiamo. Quello che si vuole dire è che la Guardia di Finanza ( ma anche i carabinieri, la polizia) più fruttuosamente andrebbero impiegati e utilizzati nella caccia e nella repressione dei grandi narcotraffi- canti, dei riciclatori degli immensi capitali che questi traffici fruttano. Non c’è bisogno di spiegare come sia assurdo che debbano esserci “blitz” nei confronti di ragazzi trovati in possesso di pochi grammi di “fumo”. Eppure è questo che la legge impone, prescrive. Eppure è questo che accade un giorno sì, e l’altro pure, un po’ ovunque.

E per quel che riguarda la classe politica, il Governo, le opposizioni: nessuno, ma davvero nessuno, può dire di non sapere, nessuno è autorizzato a esprimere sorpresa. Era il gennaio del 1973 quando Marco Pannella pubblica sul quotidiano Il Messaggero un lungo articolo nel quale condanna il clima di criminalizzazione frutto delle leggi anti- droga di allora, che non fanno distinzione tra spacciatori e consumatori, mafiosi e “capelloni” e studenti che fumano spinelli, e vengono indiscriminatamente arrestati e condannati.

Due anni dopo sempre Pannella dà il via alla sua lunga campagna di “disobbedienza civile: il 2 luglio 1975 viene arrestato dopo aver “fumato” deliberatamente uno “spinello” in pubblico. Lo arresta un commissario di polizia che somiglia molto al generale Nisi: un poliziotto che si chiama Ennio Di Francesco; la mattina arresta Pannella, il pomeriggio gli spedisce un telegramma di solidarietà; per questo gesto, ne paga le conseguenze: rimosso, senza essere promosso. Ora, in pensione, si è iscritto al Partito Radicale, ancora una volta in solidarietà con Pannella.

Facciamo un salto nel tempo, arriviamo al 1991: sempre il solito Pannella promuove un referendum per l’abolizione delle sanzioni penali per il consumo di droga delle sanzioni penali per il consumo di droga e il riconoscimento della libertà terapeutica nella cura delle dipendenze. Il referendum si svolge nel 1993, viene vinto con il 52 per cento dei voti: il consumo di droga è depenalizzato.

Il Parlamento, come spesso accade, legifera in modo opposto rispetto a quanto espresso dall’esito referendario; e proseguono le iniziative di disobbedienza civile: distribuzione gratuita e pubblica di hashish, le più clamorose a piazza Navona e Porta Portese a Roma. Per queste disobbedienze è condannato a otto mesi di libertà vigilata e a due mesi e otto giorni di carcere. Lo stesso giorno della condanna, ospite de “L’Italia in diretta”, regala circa duecento grammi di “fumo” alla conduttrice, Alda D’Eusanio. Una scena che ancora oggi impazza, nei siti internet. Il “testimone” di Pannella oggi è stato raccolto da un’altra radicale: Rita Bernardini; coltiva e produce decine di piantine di hashish nel terrazzo di casa, sotto la “sorveglianza” attiva di facebook. Chiede di essere inquisita come accade a centinaia di ragazzi ogni giorno, che vengono trovati in possesso di una piantina, e processati per questo, perseguitati. Lo chiede con insistenza: da palazzo di Giustizia le dicono chiaro e tondo che non hanno intenzione di arrestarla, non vogliono creare il caso. Una volta, messi alle strette, si inventano che le piantine sono innocue, prive del principio attivo. Un’altra volta le piantine sono sequestrate, Bernardini indagata, ma ancora nessun arresto… Un trattamento speciale, quello riservato a Bernardini, di cui altri non possono beneficiare. Roberto Saviano, qualche giorno fa ha scritto, proprio dopo i fatti di Lavagna e il suicidio di Giovanni: «Penso a Pannella e all’intuizione che ha avuto, intuizione geniale, da politico di razza, sulle battaglie politiche, che andavano necessariamente condotte utilizzando il corpo vivo, il suo corpo vivo».

Commentatori ed editorialisti di pronto ( e lauto) intervento non hanno speso una sola riflessione su quello che accade, che è accaduto; i soliti noti si scagliano contro ogni ipotesi di legalizzazione, e confermano la folle, criminogena logica del proibizionismo che produce danni e nessun beneficio. Parlamento, Governo, chiunque può ( e se può, deve): chiedete consiglio al generale Nisi, al commissario De Francesco, ai tanti generali Nisi e commissari De Francesco di questo paese, costretti ad applicare leggi sbagliate, che confliggono con la loro coscienza.