Il Senato degli Stati uniti ha confermato per 52 voti a 47 la nomina di Jeff Sessions, senatore dell’Alabama dal 1997, indicato da Trump, a nuovo Attorney general, ministro della Giustizia. E questo dopo un aspro scontro in aula, in cui è stato impedito al senatore democratico Elizabeth Warren di leggere una lettera del 13 marzo 1986 di Coretta King, moglie del dottor Martin Luther, indirizzata alla Commissione giudiziaria del Senato degli Stati uniti, in cui motivava perché Jeff Sessions non era la persona adatta per diventare giudice federale. La Warren ha poi letto il testo della lettera in un corridoio del Senato e ha postato il video su facebook raccogliendo il consenso di molti attivisti e elettori democratici e, soprattutto, della figlia di King.

Sessions è contro il diritto all’aborto, è scettico sul cambiamento climatico, è contrario al matrimonio omosessuale e ha posizioni molto dure sull’immigrazione. Va a occupare il posto di Sally Yates, ministro della Giustizia facente funzioni che aveva dato ordine ai suoi dipendenti di non difendere in tribunale l’ordine esecutivo di Trump ( il “Ban muslim”) e che era stata licenziata dal presidente.

La Commissione giudiziaria del Senato, una delle istituzioni più antiche, composta da venti membri, conduce le audizioni dei candidati a giudice federale indicati dal presidente, e anche di quelli alla Corte suprema. Nel 1986 presidente della Commissione era Strom Thurmond, un personaggio davvero controverso che aveva iniziato la sua carriera politica giovanissimo, negli anni Trenta: democratico, nel suo Stato, la Carolina del Sud, prendeva voti a vagonate, ma era un sostenitore indefesso del segregazionismo, il che creava tensioni con il Partito. Quando Truman, nel 1948, abolisce il segregazionismo nell’esercito, Thurmond fonda un proprio partito, i Dixiecrat, elettori democratici del Sud che però volevano mantenere i neri lontano dai diritti civili, e continua a prendere valanghe di voti. Nel 1957 si oppone al Civil Rights Act di Eisenhower, e poi cambia casacca e diventa repubblicano. Da repubblicano ha un ruolo determinante e nell’appoggio a Nixon e nella vittoria di Reagan, ma fa anche in tempo a rivedere molte sue posizioni precedenti. È Reagan che lo mette a capo della Commissione giudiziaria del Senato. L’altro destinatario della lettera, per conoscenza, è Joe Biden, che diventerà vicepresidente degli Stati uniti per i due mandati di Obama.

Questo è il biglietto che accompagnava la lettera di Coretta King. «Caro Senatore Thurmond, le scrivo per esprimere la mia totale opposizione alla conferma di Jefferson B. Sessions come giudice federale per Southern District dell’Alabama. Le mie radici nell’Alabama sono profonde e durature. Chiunque abbia usato del potere dato dall’ufficio di procuratore degli Stati Uniti per intimidire e congelare il libero esercizio del voto da parte dei cittadini non dovrebbe essere premiato nelle nostre Corti. Mr. Sessions ha usato quell’enorme potere in un miserevole tentativo di intimidire e terrorizzare gli elettori neri più anziani. Per questa riprovevole condotta, non dovrebbe essere premiato con l’incarico di giudice federale. Mi dispiace che un precedente impegno mi impedisca di essere lì di persona a testimoniare contro questa nomina. Comunque allego una copia della mia dichiarazione contro la conferma di Mr. Sessions e chiedo che la mia dichiarazione, così come questa lettera, facciano parte dell’audizione. La prego di opporsi alla nomina di Mr. Sessions. Sincerely, Coretta Scott King».

Nella lettera, Coretta faceva ripetuto riferimento alla marcia di Selma. A Selma, Alabama, la metà della popolazione era nera, ma solo trecento erano i neri iscritti per votare. Nel 1964 c’era anche stato un Civil Right, ma dovevate vederli gli impiegati dell’Alabama o di qualche altro Stato del Sud come interpretavano la legge, e serve questo e quest’altro, e questo non basta, e qui dice così, che ti passava la voglia.

Il 7 marzo 1965 si organizzò la marcia. Seicento attivisti. Da Selma a Montgomery, la capitale. Sono cinquantaquattro miglia. Ottantasette chilometri. Cinquantaquattro miglia di vergogna. Cinquantaquattro miglia di gloria.

La prima marcia fu il 7 marzo. Era domenica. Appena i seicento superarono il confine della contea, la polizia di Stato attaccò. Fu un massacro. Donne, bambini, preti, attivisti, tutti caricati senza pietà.

Poi ci fu una seconda marcia, due giorni dopo, con in testa Luther King, il percorso era stato appena iniziato. E anche stavolta ci furono cariche, dopo pochi chilometri, e i manifestanti furono dispersi. E poi ci fu una terza marcia, il 21 marzo. E stavolta ce la fecero. Solo in trecento riuscirono a percorrere tutte e cinquantaquattro le miglia. Ma quando arrivarono allo State Capitol Building, il palazzo governativo, erano in venticinquemila. Era il 25 marzo. Ci avevano messo quattro giorni per coprire quelle cinquantaquattro miglia. E lì, davanti all’edificio della prepotenza e dell’arroganza bianca, il dottor King parlò.

È così che passò il Voting Rights Act di Lyndon Johnson.