Aleksei Navalny, «l’uomo che Vladimir Putin teme di più al mondo» secondo il Washington Post, è stato di nuovo condannato. Cinque anni con la condizionale e 500mila rubli ( circa 8mila euro) di multa per «truffa e appropriazione indebita» per l’avvocato, attivista e blogger. «È una sentenza politicamente pilotata, non la rispettiamo. - hanno detto Navalny e i suoi avvocati - Ho pieno diritto a partecipare alle elezioni e lo farò» ha continuato colui che potrebbe essere il principale sfidante di Putin alle elezioni presidenziali del 2018. Più volte soprannominato il “Julian Assange russo”, il quarantenne attivista ha invece accusato WikiLeaks di essere in combutta con il Cremlino per i presunti hackeraggi delle elezioni americane. Nel 2008 Navalny iniziò a comprare azioni di Rosneft, Gazprom, Lukoil e Surgutneftegaz, compagnie multimilionarie di cui il governo russo è azionista di maggioranza. Navalny cominciò subito a chiedere trasparenza nell’amministrazione e l’utilizzo dei fondi, andando a scoperchiare tangenti e corruzione che coinvolgevano molti alleati di Putin e del partito Russia Unita. Utilizzando il blog e l’account twitter con più di un milione e mezzo di follower, Navalny ha messo su una squadra di 30 persone per scovare e denunciare il malaffare del potere russo. Negli ultimi anni hanno concentrato le inchieste sulla cerchia più vicina a Putin. Sul blog, ricorda un’inchiesta di Bloomberg, sono apparse le carte delle nuova sfarzosissima casa del primo ministro Medveded e i contratti militari stipulati dal cuoco personale del presidente. Navalny ha denunciato anche l’uso improprio di fondi pubblici da parte del vice primo ministro Igor Shuvalov, che li avrebbe usati per comprare dieci appartamenti in un grattacielo di lusso a Mosca e per trasportare i suoi cani in giro per l’Europa in jet privati.

Nel dicembre 2011 la Russia fu attraversata dalla più forte ondata di protesta ai tempi di Putin. Centinaia di migliaia di persone si radunarono in piazza contro i presunti brogli alle elezioni parlamentari. Navalny fu arrestato con altre 300 persone, ma quando uscì di prigione e Putin era già stato nominato presidente organizzò subito un altro corteo con 20mila russi. Nel 2012 Navalny fondò il Progress Party e un anno dopo annunciò la sua candidatura a sindaco di Mosca. Il 17 luglio venne ufficialmente inserito nella lista dei candidati e il giorno successivo il tribunale di Mosca lo condannò a cinque anni di carcere per la stessa causa per cui è stato condannato ieri. La Corte suprema russa rifiutò il verdetto, ne ordinò la revisione e Navalny poté presentarsi alle elezioni, dove prese oltre il 27% dei voti, più di quanto avevano preso insieme i quattro partiti di opposizione nelle precedenti elezioni parlamentari. Ma Sergey Sobyanin, candidato sostenuto da Putin, andò oltre ogni sondaggio e si aggiudicò il 51%, evitando così il pericolo di un ballottaggio contro Navalny. Alle successive elezioni parlamen- tari del 2016 Progress Party faceva parte di una coalizione all’opposizione che non andò oltre il 2,28% dei voti.

Nel leggere la sentenza del 2013 che condannò Navalny per aver estorto 500mila euro alla compagnia petrolifera di Kirov, quando era consulente del governo locale, nel 2009, il giudice pronunciò le esatte parole usate dall’accusa. E la stessa condanna è stata decisa di nuovo ieri. «Faremo appello, perché la Corte Suprema ha già bocciato quella sentenza. Putin e i suoi fanno bene e a temerci» ha commentato Navalny. La settimana scorsa anche la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso, condannando il governo russo a risarcire il blogger con 63mila euro per «i ripetuti arresti e l’arbitraria sentenza».