«Non troverete degli scoop in questo libro. Noi vogliamo semplicemente dare agli atti la documentazione di un processo di cui si è parlato molto». Così Padre Federico Lombardi – fino a qualche mese fa direttore della Sala Stampa e della Radio Vaticana – ha descritto Vatileaks 2, il Vaticano alla prova della giustizia, libro scritto insieme a Massimiliano Menichetti, cronista della Radio Vaticana che, insieme a lui, ha seguito tutte le udienze e le fasi del processo. Il libro, attraverso le cronache e alcune riflessioni di Menichetti, documenti ufficiali e una ricca introduzione di Padre Lombardi, racconta l’azione giudiziaria che si è svolta in Vaticano e vedeva rinviati a giudizio due ex componenti della Cosea ( Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economicoamministrativa), monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui – condannati – il segretario esecutivo della stessa Cosea Nicola Maio – assolto con formula piena perché del tutto estraneo alla vicenda – e due giornalisti, Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, prosciolti. Le imputazioni erano legate alla divulgazione di documenti riservati riguardanti attività economiche e amministrative di Congregazioni e Commissioni della Santa Sede.

Raccontare con un libro un processo, il Vatileaks 2. Perché?

Massimiliano Menichetti e io abbiamo cercato di lasciare agli atti una presentazione obiettiva, secondo il nostro punto di vista certamente, del processo che abbiamo seguito. Noi non parliamo delle vicende Cosea, ma appunto del processo. Il Vaticano, come Stato, ha un sistema giuridico: ci sono leggi e sanzioni e ci sono gli strumenti – la magistratura e un tribunale – perché questo sistema venga messo in pratica e sia efficace, per la tutela della legalità, come richiedono coloro che valutano, ad esempio la Commissione di Moneyval e così via. Per noi era importante farlo capire con l’esempio concreto di un processo, anche perché che negli ultimi anni c’è stato uno sviluppo importante di norme e di leggi, molte novità. E si è fatto tanto per la trasparenza.

Il sottotitolo recita: “Il vaticano alla prova della giustizia degli uomini”. Cosa vuol dire?

È giusto far capire che si cerca di “fare la verità”, anche con umiltà. Perché “fare la verità” con un tribunale umano può avere i suoi limiti di documentazione, di argomentazione, ma è quello che ogni buon tribunale in questo mondo deve cercare di fare. Darne atto con un libro e dimostrare che si cerca di andare nella direzione della verità mi sembra importante, anche per capire come si muove oggi la Chiesa e in particolare l’istituzione vaticana, nella linea della verità appunto.

Perché il libro esce solo adesso?

Per noi era importante avere anche a disposizione le motivazioni della sentenza, che sono uscite a Natale.

E questo processo cosa ha messo in evidenza?

Oltre a dare una conoscenza adeguata del funzionamento della magistratura vaticana, per la quale ho sviluppato una grande ammirazione, è stato trattato il tema della libertà di stampa.

Dalle motivazioni della sentenza sembra decisamente ridimensionato quel “processo alla libertà di stampa” a cui si gridava…

Ho dovuto dirlo anche all’inizio, quando si parlava di processo liberticida. Ho spiegato che c’erano imputazioni perché risultava ci fossero state pressioni da parte dei giornalisti per ottenere i documenti, e in questo senso un loro coinvolgimento in un reato, quello della diffusione dei documenti riservati. Dal dibattimento è risultato che queste pressioni non c’erano. Quindi non vi è stata nessuna condanna ai giornalisti, che hanno fatto il loro servizio. C’è stato anche spazio, però, per mettere in chiaro quale sia il modo di realizzare correttamente il giornalismo, quali possano essere le condizioni per la pubblicazione dei documenti, anche se riservati, e per dire che invece ci sono anche possibili violazioni da parte dei giornalisti. Ma non è stato questo il caso.

Lasciando da parte i giornalisti. Quella diffusione di documenti riservati può essere considerata un tentativo di destabilizzare l’istituzione vaticana? E possiamo dire che il Vaticano ha, però, fatto di necessità virtù e ha dato vita a un processo in cui ha mostrato l’imparzialità del suo sistema giuridico?

Non capisco bene la domanda. Noi nel libro parliamo di come si è svolto il processo: dei documenti sono usciti, si sanziona questo fatto.

Menichetti ha parlato di un contesto garantista durante il processo. Questo emerge anche dal libro?

Questo deve chiederlo a Menichetti. Non capisco cosa lei vada cercando.

Voglio dire: non è stato un processo già deciso a tavolino, un processo farsa… No, evidentemente. La ragione per la quale noi mostriamo questa documentazione è di dimostrare che era un processo giusto e svolto correttamente. La sentenza non era affatto scritta prima dell’inizio, ma si è formata proprio grazie al dibattimento. Quindi diverse cose, alla fine, appaiono diverse da come potevano essere state immaginate in principio. Questo lo dimostrano il proscioglimento dei giornalisti e l’approfondimento della tematica della libertà di stampa.

In questo senso dicevo “di necessità virtù”. Si doveva perseguire un crimine, ma si è anche data una buona immagine dell’istituzione?

Bisogna vedere che immagine uno aveva prima. Di fatto nessuno desidera che vengano commessi dei crimini, né che ci siano dei processi. Ma se c’è un reato bisogna perseguirlo e cercare di fare verità e giustizia. Perché io credo che non ci si debba preoccupare prioritariamente dell’immagine, quel che davvero va cercato è la verità.