Marco Travaglio in tv ha difeso Virginia Raggi, raggiunta da un invito a comparire davanti alla Procura per abuso d’ufficio e falso. E sul Fatto ne ha dato notizia. anche se in modo più sobrio del solito.

Bisogna riconoscere che, salvo in un passaggio di cui vi dirò, Marco Travaglio meglio non poteva difendere, nello studio televisivo di Lilli Gruber, a La7, la sindaca di Roma Virginia Raggi appena raggiunta da un invito a comparire davanti alla Procura della Capitale per abuso d’ufficio e falso. Di cui il suo giornale ha poi dato notizia rigorosamente in apertura di prima pagina, secondo le tradizioni della casa, anche se in modo più sobrio del solito, avendo abituato i suoi lettori a caratteri e visibilità maggiori quando a finire indagati è toccato ad altri o altre sfortunate, per il ruolo pubblico ricoperto.

Il direttore del Fatto Quotidiano ha dimostrato di conoscere la vicenda costata alla Raggi qualcosina in più del solito avviso di garanzia meglio dei due giustizialisti che avevano preso l’altra sera il suo posto nel salotto de La7: la vice presidente piddina della giunta regionale dell’Emilia Romagna, Elisabetta Gualmini, spiazzata peraltro durante la trasmissione da una dichiara- zione garantista del segretario del suo partito a favore della sindaca, e il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti.

Non dico che la Gualmini e Sallusti non fossero informati, come ad un certo punto ha gridato loro Travaglio, ma di sicuro ne sapevano meno di lui a proposito della nomina, a capo del Dipartimento capitolino del Turismo capitolino, di Renato Marra, fratello maggiore di Raffaele, a sua volta capo del personale, finito poi in carcere con l’accusa di corruzione per fatti risalenti alla precedente amministrazione.

Del povero Renato, il buon Travaglio sapeva il prezzo già pagato al fratello ingombrante, avendo dovuto rinunciare per motivi di opportunità appunto familiare a candidarsi al comando della polizia municipale, dopo un lungo e onorevole servizio nel corpo dei vigili urbani.

Capitatagli poi l’occasione, segnalatagli dal fratello, di candidarsi al posto meno alto ma pur sempre apprezzabile di capo del Dipartimento del Turismo, lo sfortunato Marra senior, come indicato nel titolo del Fatto Quotidiano, si propose. Come alla ' sventurata' monaca di Monza, di manzoniana memoria, capitò di ' rispondere' tanti secoli fa.

La Raggi, sfortunata pure lei, si accorse solo dopo averlo nominato, ed essersene assunta pubblicamente la responsabilità, del maggiore compenso di circa 20 mila euro annui, lamentandosi con Marra junior dell’' imbarazzo' in cui a quel punto si trovava a causa del fratello. Intervennero pertanto complicazioni, a dir poco, sgradevoli sfociate nella revoca della nomina, immagino con quanta delusione dell’interessato.

In questa puntuale difesa della posizione della sindaca indagata, nell’interesse naturalmente non della stessa sindaca ma della signora Verità, non avendo lui la minima intenzione di farlo per pregiudizio favorevole alla persona e alla sua parte politica, Travaglio è però incorso, diciamo così, in un infortunio da eccesso.

In particolare, egli ha contestato a Sallusti un richiamo ad ' intercettazioni' dalle quali sarebbe risultato l’' imbarazzo' della sindaca. Per un attimo il povero Sallusti si è sentito perduto, forse temendo la competenza dell’ex collaboratore del suo Giornale, Travaglio appunto, come cronista giudiziario.

Gli occhi di Sallusti si sono rivolti a destra e a sinistra, verso la Gruber e la Gualmini, quasi per chiedere lumi e soccorsi, fino a quando non è stato lo stesso Travaglio, in collegamento dalla sua postazione di lavoro, a toglierlo amichevolmente d’impaccio. E a spiegargli che l’imbarazzo della sindaca era risultata agli inquirenti non da una telefonata ma da una chat.

Il direttore del Giornale a quel punto ha tirato un sospirone di sollievo. E, rinfrancato, ha detto che pur di ' telefono o telefonino' si era trattato nelle intercettazioni di cui aveva osato parlare. Ma evidentemente una differenza fra i due tipi d’intercettazioni deve esserci anche sul piano giudiziario se Travaglio, sempre in collegamento esterno con lo studio televisivo, ha continuato a riservare a Sallusti lo sguardo dell’esperto che ha colto in flagranza di errore il suo incauto contestatore.

Ecco, a parte questo eccesso, come mi è apparso probabilmente a causa della mia scarsa competenza elettronica, o di chissà quale altro tipo, il quasi esordio di Travaglio come garantista - termine peraltro di cui lui notoriamente diffida, come se fosse una parolaccia, almeno per come l’intendono gli altri, specie se indagati, imputati, detenuti in attesa di giudizio, condannati in via definitiva, eccetera - è stato apprezzabile. Molto apprezzabile. Più apprezzabile del nuovo, anzi nuovissimo codice cosiddetto etico del movimento 5Stelle, arrivato con tempismo sospetto, avendo potuto ora proteggere la Raggi dal vecchio automatismo giustizialista delle dimissioni all’arrivo di un avviso di garanzia. Rimane a suo carico la possibilità di una specie di processo interno al partito, in cui il garante Grillo somma le funzioni di pubblico ministero, avvocato della difesa e giudice, naturalmente di unica istanza.

Con questo processo non potranno interferire neppure i ' portavoce', come si chiamano i parlamentari ed altri eletti nelle liste delle 5 Stelle, se non dopo essere stati autorizzati dai responsabili della cosiddetta comunicazione del movimento, almeno a livello di Camera, Senato e Parlamento europeo. È una disciplina ferrea, voluta da un uomo ' forte': di quelli che piacciono tanto a Grillo, indeciso solo se preferire come modello Donald Trump a Vladimir Putin, o viceversa, secondo un’intervista a una testata francese che ha provocato nel movimento un mezzo putiferio, prima che Beppe facesse suonare la tromba del silenzio.