Ballottaggio cancellato, premio di maggioranza alla Camera per chi supera il 40 per cento salvato. E ai pluricandidati eletti il seggio verrà assegnato mediante sorteggio. Con una decina di righe in stretto burocratese, zeppe di rimandi a leggi preesitenti e a norme approvate perfino con voti di fiducia ma giudicate lo stesso costituzionalemnte inaccettabili, la Consulta ha cancellato venticinque anni di storia politica recente. Addio al maggioritario, agli accordi prelettorali, ai candidati premier da sottoporre ai cittadini. Via libera al ritorno del proporzionale, con gli accordi che si reggono sulla momentanea convenienza degli stipulandi e che possono essere rivisti o perfino stracciati a urne chiuse quando per qualunque ragione quella convenienza viene meno. Seconda Repubblica addio Ora tocca ai partiti decidere

La Seconda repubblica evapora, e si va verso la Terza che solo formalmente assomiglia alla prima, quella della Dc eternamente al governo e del Pci perennemente all’opposizione. Adesso c’è un nuovo soggetto: i Cinquestelle che al 40 per cento da raggiungere in solitaria ci puntano eccome. Avanza dunque un tripolarismo che con la governabilità ha un rapporto assai incerto.

La Corte ha fatto il suo lavoro: sbagliato e fuorviante chiedergli di supplire alle inefficienze della politica. Adesso infatti tocca al Parlamento stabilire se esistono i margini per venire incontro alle richieste che trasudano lungimiranza del capo dello Stato per varare una legge che omogeneizzi i sistemi elettorali di Camera e Senato: l’alternativa è andare alle urne con i moncherini di due sistemi opposti, il Porcellum al Senato e l’Italicum alla Camera, così come disegnati dai giudici costituzionali con le loro sentenze: scenario assai poco esaltante. E poiché allo stato il premio di maggioranza è assegnato alla lista e non alla coalizione, non solo è possibile che nessun partito o movimento lo raggiunga ma diventa addirittura realistico l’in- cubo che nessuna delle due alleanze post voto possibili - Pd- FI da un lato e Cinquestelle- Lega dall’altro - raggiunga o superi il cinquanta per cento dei seggi. Con quali effetti sulla stabilità del Paese è facile immaginare.

Sono gli effetti perversi di una corsa referendaria che si è trasformata in un plebiscito finito parecchio male per chi lo ha cavalcato. Il binario delle riforme si è liquefatto e il treno che lo percorreva è deragliato con grande sconquasso.

Ora riprendere le fila della responsabilità è oltremodo impervio. Il buon senso suggerirebbe di varare un provvedimento che allinei i meccanismni elettorali delle due Camere rivedendo le soglie di sbarramento e assegnando il premio di maggioranza non più alla singola lista bensì alla coalizione. Solo che per centrare questo obiettivo serve tempo: esattamente quello che Renzi non ha ( per rimanere in sella al partito) e non vuole ( per puntare alla rivincita dopo la batosta referendaria). Lo spiegherà meglio sabato a Rimini, ma già adesso l’inner circle renziano fa pressing per andare al voto al più presto. E pazienza se fino a ieri mattina il Pd era ufficialmente attestato sul Mattarellum che ha il difetto di essere rigettato dagli altri partiti: una contorsione in più o in meno che cambia? Neppure Silvio Berlusconi, che invece per il voto immediato non si svena, ha interesse alle coalizioni. Dovrebbe infatti stipularne una con gli euroscettici ( ma ora si chiamano sovranisti) Salvini e Meloni: più che una alleanza, una gabbia. Per non parlare di Grillo: su di lui il termine alleanze produce lo stesso effetto del morbillo.

Quali saranno i giochi dei partiti e quali i futuri sbocchi, si vedrà. Tra l’altro in ballo c’è anche l’azione di governo. Paolo Gentiloni ha i suoi grattacapi, ma una guida per le emergenze che invece di stemperarsi si moltiplicano è fondamentale. Come pure sono tutt’altro che trascurabili gli appuntamenti internazionali, a partire dal G7 di Taormina: arrivarci in piena campagna elettorale significa restringere i margini di manovra e rendere flebile la voce dell’Italia sui principali dossier internazionali.

Si vedrà. Ma c’è una considerazione più di fondo, di sistema si potrebbe definire, che viene richiamata dalla sentenza della Corte costituzionale. Il ripristino del proporzionale, infatti, non solo sbriciola l’attuale configurazione del quadro politico: azzera anche le leadership che ne erano espressione. Azzera il Berlusconi maggioritario e bipolarista, l’uomo della scelta di campo “di qua o di là”, l’alieno piombato nel mezzo del ciclone di Tangentopoli sul Palazzo per modificarne in profondità compiti e ambiti. Con il proporzionale il fondatore di Fi rinnega il suo bagaglio politico e l’identità che l’ha contraddistinto finora: indossare il nuovo vestito, indipendentemente dalle sentenze di Strasburgo, non sarà semplice. Un discorso simile vale anche per Matteo Renzi. L’ex sindaco di Firenze è salito con prepotenza alla ribalta facendo leva su due asset sostanziali: la rottamazione della vecchia classe dirigente di sinistra; la revisione e modernizzazione istituzionale mediante le riforme della Costituzione. Il tutto, questo il punto, sotto l’ombrello della vocazione maggioritaria, corazza imprescindibile per combattere gli assalti degli avversari. La disfatta del 4 dicembre ha mandato in soffitta quell’architettura: Renzi di corazze non ne ha più, deve giocoforza procurarsene un’altra. Ha bisogno cioè di una nuova narrazione, che abbia il tasso di fascinazione della precedente ma percorra strade diverse. Salvini è nelle stesse condizioni. Ha ereditato un partito figlio del maggioritario e incastonato nel centrodestra di stampo berlusconiano. Ora è chiamato a dimostrare se può marciare con il proporzionale sulle sue sole gambe. Anche Berlusconi deve trovare un “racconto” che subentri a quello usurato ( e disatteso) del meno tasse per tutti e riproponga il fluido dei bei tempi. Il risultato è che almeno due su tre delle principali forze politiche hanno il canovaccio di recita scaduto. E restano in cerca d’autore.