Riuniti in conclave a sorpresa già da ieri mattina, i giudici della Corte costituzionale si preparano a sanzionare l’Itali-cum. L’esito appare già scritto nelle sue grandi linee, al Paese la Corte consegnerà un sistema elettorale per la Camera perfettamente proporzionale, parallelo al Consultellum attualmente in vigore per il Senato, avendo sostanzialmente rinunciato a lavorare di bisturi sul corpo dell’Italicum.

Riuniti in conclave a sorpresa già da ieri mattina, i giudici della Corte costituzionale si preparano a sanzionare l’Italicum, la legge elettorale concepita e scritta nella illusoria certezza che la riforma renziana della Costituzione sarebbe diventata realtà: una legge elettorale solo per la Camera che avrebbe dovuto esser l’unica a votare la fiducia ai governi, e che proprio per questo è adesso inutilizzabile.

La politica e il Parlamento son stati vociferanti ma a braccia conserte in attesa del verdetto che la Consulta emetterà esaminando, da stamattina, i ricorsi filtrati da tre Tribunali - Messina, Perugia e Torino - dopo aver ascoltato anche l’Avvocatura dello Stato, che difende la costituzionalità di una legge che se si ricordano i rilievi scritti nella sentenza numero 1 del 2014 contro il Porcellum - gronda violazioni di uguaglianza del voto e principio di rappresentanza. L’esito appare già scritto nelle sue grandi linee, al Paese la Corte consegnerà un sistema elettorale per la Camera perfettamente proporzionale, parallelo al Consultellum attualmente in vigore per il Senato, avendo sostanzialmente rinunciato a lavorare di bisturi sul corpo dell’Italicum: ne sarebbe potuto nascere qualcosa di simile a un doppio turno di collegio. Indiscrezioni riferiscono che questa sarebbe stata la tendenza espressa da alcuni giudici, in vari colloqui informali, anche al fine di bilanciare gli effetti di una riforma costituzionale nella quale, proprio grazie all’Italicum, una maggioranza elettorale si trasformava in un asso pigliatutto.

Ma quella riforma è stata bloccata dagli italiani, e non è necessario che la Corte si esponga fino a scrivere di proprio pugno un sistema elettorale: dunque, via il ballottaggio, e resta un sistema proporzionale. Ancora in discussione la sopravvivenza del premio di maggioranza ( che è possibile lasciare perchè a differenza di quello del Porcellum prevede un’ampia soglia minima per conseguirlo, il 40 per cento dei voti), e forse sì anche alle pluricandidatire dei capilista bloccati purché alla fine non sia l’eletto a scegliersi il collegio ( determinando così di fatto anche l’elezione o meno di altri candidati, il che viola il principio dell’eguaglianza del voto).

Ma se il risultato alla fine sarà semplice, complessa è come sempre la procedura per arrivarvi. La Corte si é presa tutto il tempo: ieri mattina riunione di pre- consiglio, al fine di fare un quadro completo delle posizioni individuali, e soprattutto per sgombrare il campo da un’ipotesi affacciatasi nelle ore immediatamente precedenti. Ovvero usare il riferimento contenuto nella sola ordinanza di Messina all’entrata in vigore dell’Italicum ( l’ 1 luglio 2016) per decretarne l’inammissi- bilità, essendo la prima volta che alla Corte è stato posto un problema non solo prima che una legge fosse applicata, ma addirittura prima ancora che entrasse in vigore. I ricorsi provenienti da Perugia e Torino però non solo non citano quella data, ma sono arrivati alla Consulta dopo: dunque, sfumata la suggestione di poter non esprimersi affatto sull’Italicum, adesso si dovrà decidere anzitutto dell’ammissibilità del ricorso di Messina, l’unico dei tre che tratta anche della diversità di soglie di sbarramento tra Camera e Senato. Dall’esame di questa questione la Corte potrebbe stabilire il principio che nessuna legge può esser sottoposta al vaglio di costituzionalità prima della sua entrata in vigore ( anche se casi come quello dell’Italicum, una legge a operatività ritardata, sono più unici che rari). Dopo l’udienza pubblica di stamattina, ci sarà anzitutto il lungo esame delle ammissibilità. Poi l’altrettanto lunga relazione del giudice Niccolò Zanon ( fortemente orientata a cancellare dall’Italicum il ballottaggio), che ha sintetizzato in 11 punti le 15 questioni di costituzionalità poste dai tribunali. Solo a quel punto i giudici affronteranno la discussione collettiva e delibereranno, punto per punto. Potrebbero arrivare fino a mercoledì: hanno liberato appositamente anche l’agenda dei lavori.

Ma che sia stasera o dopodomani, toccherà comunque al Parlamento aggiustare il sistema elettorale del Senato per renderlo «omogeneo» a quello della Camera. Dovrebbe trattarsi di piccoli ritocchi, come quello che riguarda appunto la soglia di sbarramento che a Montecitorio sarebbe del 3 per cento e a Palazzo Madama dell’ 8. Armonizzazioni o poco più perché la sentenza che la Corte scriverà produrrà automaticamente una legge elettorale per la Camera autoapplicativa: un punto, questo, tassativo poichè la giurisprudenza costituzionale considera le leggi elettorali tra le «leggi costituzionalmente necessarie», quelle cioè senza le quali non si può stare neppure per un minuto.

Poi, certo, il Parlamento è sovrano: se volesse, potrebbe anche buttare il Consultellum 2 nel cestino, e votare per il Mattarellum di cui tutti parlano. Ma non ve ne sono le condizioni politiche. Mentre il proporzionale puro che scriverà la Corte, se venisse mantenuta la soglia del 40 per cento per il premio di maggioranza, potrebbe spingere le singole forze politiche verso le coalizioni. Per questo in questi giorni si parla tanto di Ulivo: il Consultellum 2 sembra fatto apposta per convincere il Pd a serrare i ranghi, e a stringere se del caso qualche alleanza.