È una relazione ricca di traguardi raggiunti e obiettivi ancora da cogliere, quella che il guardasigilli Andrea Orlando ha proposto ieri alle Camere sullo stato della giustizia. Ma è anche l’occasione per riaffermare alcuni aspetti decisivi del sistema, a cominciare dall’enorme peso della magistratura. «La nostra azione è stata rivolta a garantire che i controllori siano sottoposti ad altri controllori rispondenti soltanto alla legge, nella piena garanzia del principio di separazione dei poteri», ha affermato il ministro nei due rami del Parlamento a proposito dell’attività ispettiva di via Arenula, «e questa vigilanza deve essere tanto più stringente, tempestiva ed efficace in quanto riguarda poteri in grado di incidere in modo fortissimo e talvolta persino irreparabile sulla vita dei cittadini».

Andrea Orlando affronta per prima l’aula del Senato. È lì di fatto che apre l’anno giudiziario, considerato che la relazione al Parlamento letta in mattinata a Palazzo Madama e poi a Montecitorio, è il primo atto delle inaugurazioni. L’assemblea presieduta da Pietro Grasso è d’altronde croce e delizia per il guardasigilli, luogo di confronti «proficui» ma anche di fatale paralisi del ddl penale. E se tra le obiezioni dell’emiciclo c’è anche un «difetto di franchezza» rilevato da Corradino Mineo, che pure apprezza complessivamente il ministro, va detto che Orlando dosa toni secchi e abili perifrasi anche quando parla del peso della magistratura. Quando cioè all’inizio della sua relazione ne segnala l’immenso potere e la necessità di controllarlo: «La nostra azione è stata rivolta a garantire che i controllori siano sottoposti ad altri controllori rispondenti soltanto alla legge, nella piena garanzia del principio di separazione», dice il ministro, «e questa vigilanza deve essere tanto più stringente, tempestiva ed efficace in quanto riguarda poteri in grado di incidere in modo fortissimo e talvolta persino irreparabile sulla vita dei cittadini». È un passaggio che si intreccia con ripetuti richiami al populismo penale, all’eccessivo numero di reati e alla demagogia con cui se ne invocano sempre di nuovi. La cifra del garantismo e della ricerca di un equilibrio che faccia argine allo strapotere giudiziario, segna quella che potrebbe essere l’ultima relazione di Orlando da ministro della Giustizia. Non solo perché non è detto che la legislatura arrivi fino a gennaio 2018, ma anche perché il leader dei “giovani turchi”, in qualche accenno, lascia trapelare l’aspirazione a occuparsi di giustizia anche in senso lato, la necessità di «agire perché non sia fortemente diseguale la ricchezza della nazione», come dice alla fine delle sue comunicazioni. Obiettivi da aspirante segretario del Pd più che da guardasigilli. Non a caso, a proposito del ddl penale, di cui invoca di nuovo l’approvazione in Senato, afferma che se diverrà legge, determinerà «un passo di qualità che consentirà, al prossimo ministro della Giustizia, di fare una relazione in cui molti problemi possano essere considerati alle spalle».

DUE COLPI AL CSM Sui magistrati e la necessità di non tralasciare la vigilanza sul loro operato, il ministro torna più volte, sia nella relazione sia nelle repliche agli interventi in Aula. Quando parla di controllori si riferisce in particolare al sistema delle ispezioni, condotte «senza ricerca di sensazionalismo» e accompagnate da un «monitoraggio statistico» sulle «performance degli uffici». Sarebbe bene che «il Csm voglia sempre più affidarsi a simili criteri» nella scelta dei capi degli uffici, «che deve procedere senz’altro con maggiore speditezza». E dovrebbero essere più celeri, sostiene Orlando, anche «le pronunce disciplinari» che lo stesso Coniglio superiore è chiamato a emettere sulla base dell’attività ispettiva di via Arenula: «Spesso arrivano troppo tempo dopo che è stato segnalato l’illecito». A proposito di responsabilità civile, il guardasigilli allude a un possibile effetto deterrenza, invisibile nelle statistiche a quasi due anni dall’approvazione della riforma: «Ora i magistrati sanno che in caso di negligenza inescusabile sono sottoposti a valutazione di merito come qualunque altro cittadino»

L’EQUO COMPENSO Ma alla magistratura come a tutti gli altri soggetti chiamati ad assicurare il servizio giustizia, Orlando rivolge il suo ringraziamento. Lo fa anche nei confronti dell’avvocatura, che «credo possa salutare con soddisfazione il completamento dell’attuazione della riforma forense». Agli avvocati il ministro assicura anche di voler portare fino in fondo l’impegno per assicurare compensi decorosi pur in un quadro ormai privato da anni delle tariffe minime: «Ho già mandato un disegno di legge a Palazzo Chigi sul tema dell’equo compenso: lo ritengo un elemento caratterizzante dell’attività di governo. C’è ormai una sperequazione inaccettabile nel rapporto tra professioni e grandi soggetti finanziari ed economici». Ci sono, dice senza mezzi termini il guardasigilli, delle «compressioni dell’autonomia del professionista dettati da posizioni dominanti che credo siano da contrastare».

I DDL CIVILE E PENALE Nell’intervento a più riprese del ministro c’è spazio per la difesa degli interventi compiuti sul carcere, dei riscontri anche internazionali alla deflazione del contenzioso sia penale che civile e al diffondersi delle soluzioni alternative al processo ( i passaggi salienti sono riportati in altro servizio, nda) . E non manca l’impegno a portare al traguardo progetti di legge come la delega sul fallimentare e la riforma civile, entrambi necessari per «dare sistematicità all’intervento realizzato finora per via amministrativa e con strumenti normativi diffusi». Ma è inevitabile che Orlando, soprattutto a Palazzo Madama, insista sui contenuti del ddl penale: ricorda che il testo sulla prescrizione è «un compromesso positivo», e che la delega sulle intercettazioni «è necessaria nonostante le circolari delle Procure vadano nella direzione auspicata: non si può essere esposti al rischio di usi impropri solo perché nella città dove si vive il capo dell’ufficio non ha dato le stesse istruzioni». Nella replica non manca di rispondere sui nodi sollevati dall’Anm con l’annunciata protesta contro il decreto Cassazione: «Sui termini per i trasferimenti siamo venuti incontro alle richieste e abbiamo posticipato l’applicazione del nuovo regime quadriennale. Sulle pensioni, la reazione mi pare eccessiva: è l’unico punto che resta e ora c’è un presidente del Consiglio diverso». Il che conferma l’impressione che alcune scelte compiute con Renzi premier siano state concepite a Palazzo Chigi più che a via Arenula.