Con il fiato sospeso ma in panchina, la politica italiana aspetta che sia la Corte costituzionale, martedì prossimo, a dotare l’Italia di una legge elettorale. Il Parlamento, o più precisamente le forze politiche a cominciare dal partito di governo, sembrano aver ceduto ai giudici costituzionali la funzione legislativa. «Per la legge elettorale aspettiamo il verdetto della Consulta», dicono i politici a destra e a manca, e con la scarsa conoscenza che l’opinione pubblica italiana ha della funzione di quel potere repubblicano non saranno pochi i cittadini che, a furia di ascoltare il ' dichiarazionometro' di Palazzo nei tiggì, magari davvero pensano che scrivere leggi elettorali sia compito istituzionale della Consulta.

Del resto, quello che ognuno sa è che proprio la Corte aveva cancellato il famigerato Porcellum, facendo precipitare il Paese nel proporzionale a preferenza unica, sistema tuttora vigente se si andasse alle urne per eleggere il Senato: una legge elettorale la Corte l’ha già scritta.

Dunque, sono anni e anni che Parlamento e forze politiche hanno delegato di fatto la responsabilità in materia: dal Mattarellum degli anni Novanta in poi, si trovò l’accordo solo sulla ' legge porcata' grazie alla compiacenza del centrosinistra che all’epoca era all’opposizione, ma fu ben felice di far arrivare in Parlamento candidati nominati dalle nomenklature di partito - e per varare il recente Ita-licum si usò il voto di fiducia. Adesso si chiede alla Corte costituzionale di verificarne la costituzionalità sotto sotto sperando che finisca nel cestino perché il partito che aveva voluto quella legge il Pd, o per meglio dire il governo poiché si tratta di una legge elettorale che fu imposta al Parlamento - adesso non la trova più adeguata a raggiungere il risultato, ossia riportare con certezza Renzi a Palazzo Chigi. Ma tutto questo ancora non basta. Oltre allo scempio di un Parlamento che aspetta le decisioni di un organo giurisdizionale, oltre alla politica che rinuncia alla propria funzione visto che almeno dal 4 dicembre in avanti si sarebbe potuto cercare un concreto accordo attorno al Mattarellum del quale invece si è parlato solo nei salotti tv e mai alle Camere, adesso c’è chi vorrebbe anche spiegare alla Corte come deve riscrivere la legge elettorale.

Un pezzo di Pd non vede l’ora che la Consulta spazzi via ogni traccia di maggioritario e che resti un proporzionale puro, preferibilmente senza preferenze: è quel segmento del Nazareno che sa che con Renzi non si vince più la lotteria, ma che punta a rimanere perno di un sistema di coalizioni e governi magari dodecapartiti. E, ahinoi, lo stesso pensa e spera anche Forza Italia, a partire proprio da Silvio Berlusconi. Un altro pezzo di Pd, a cominciare dai renziani e forse Renzi stesso ( anche se nell’ultima intervista ha detto che gli è del tutto ' indifferente' quale decisione verrà presa il 24 gennaio), vorrebbe invece un insolito maggioritario, quello che con la cancellazione del ballottaggio dovrebbe lasciare non solo un superpremio di maggioranza ma anche la soglia di assegnazione al 40 per cento. Un panorama nel quale solo Lega e grillini, e cioè forze che vengono normalmente ascritte nel segmento dei demagoghi/ populisti, non hanno richieste particolari da avanzare alla Corte costituzionale e, quantomeno i leghisti, davvero avrebbero voluto un ritorno al futuro della legge Mattarella.

Come sempre, mentre le pressioni dall’esterno non mancano, dall’interno della Corte non trapela un sospiro. I 14 giudici, dopo la sospensione del giudizio decisa a sorpresa con atto presidenziale dal presidente Paolo Grossi nel fine settembre scorso, avevano accantonato la discussione, tutti presi dalla decisione sul referendum della Cgil ( che tuttora li impegna: si sta scrivendo la sentenza, e non è cosa facile, dovendo contraddire la più recente giurisprudenza in materia di ammissibilità dei referendum). Ma non è peregrino ipotizzare che, dovendo decidere se intervenire su ben 15 punti dell’Italicum, i desideri delle varie forze politiche resteranno immaginari. Si lavorerà insomma di bisturi, come fu nel gennaio 2014 per il Porcellum. Quando il relatore Tesauro, in un collegio nel quale sedevano ancora sia Sergio Mattarella che Sabino Cassese, mise nero su bianco che una legge elettorale deve assolvere il costituzionale principio di rappresentanza, in modo tale che il Parlamento abbia rappresentatività, senza violare il principio dell’uguaglianza del voto per i cittadini. Se non andavano bene liste bloccate e capilista multipli del Porcellum, sistema peraltro «non comparabile con altri» ( come dire che si trattava di un assurdo, e chissà cosa scriveranno stavolta...) potrebbero non andar bene nemmeno le short list dell’Italicum, i suoi capilista bloccati, e quella incomparabile soglia del 40 per cento che diventa un asso pigliatutto. Difficile anche che la Corte corregga e cancelli senza lasciare sul campo una legge applicabile: perché la legge elettorale è una di quelle «costituzionalmente necessarie». Non si può esserne privi nemmeno per un minuto. Poi, certo, il Parlamento è sovrano e può fare quel che vuole. Sempre che si alzasse dalla panchina a bordocampo...