L’onorevole Mario Segni in una intervista ( Il Dubbio del 12 gennaio 2017) ha detto: «gli anni 90 hanno rappresentato una grande conquista democratica e oggi si vuole mettere in dubbio tutto questo». Negli anni 90 si è dato vita alla così detta ' seconda Repubblica” con il cambiamento del sistema da proporzionale a maggioritario e il giudizio unanime da qualunque parte politica è drammaticamente negativo, tant’è che anche Segni più avanti nell’intervista dice che in quel periodo vi fu «una rivoluzione bellissima», nulla che vedere con l’oggi in cui «la percezione dominante è quella di un cupo pessimismo».

Sorprende che nonostante la verifica negativa in tutti questi anni il mio amico Segni ritenga che sia necessario continuare in questo andazzo politico che è drammaticamente negativo.

Quando si è affezionati in maniera maniacale alle battaglie politiche fatte è difficile fare autocritica che pur sarebbe doverosa. Tutti i commenti di politici, politologi, sociologi, filosofi sono concordi nell’individuare in questo nuovo millennio una crisi politica senza precedenti con pericoli per l’assetto democratico e per la funzione delle istituzioni. Come fa a ritenere Segni che negli anni 90 ci sono state conquiste a cui non possiamo rinunziare, se tutto quello che di negativo stiamo verificando dipende da quelle “conquiste”?

In quegli anni si è abbandonato il sistema elettorale proporzionale responsabile a giudizio di Segni, della «profonda decadenza» per un sistema maggioritario che ha allontanato gli elettori dalle urne e ha creato un muro tra le istituzioni e i cittadini con un rifiuto della politica e della partecipazione che preoccupa chi ha a cuore le sorti democratiche del paese.

Orbene la crisi della politica e dei partiti alla fine degli anni 90 è derivata da complesse motivazioni sociali, civili, culturali sulle quali sono state scritte pagine importanti, ma è evidente che il sistema elettorale per organizzare il consenso ha un’incidenza non secondaria nel rendere protagonista l’elettore e nel garantire la “rappresentanza”.

Per le iniziative referendarie di Segni sì cambiò il sistema elettorale proporzionale con la legge che il Parlamento approvò conosciuta come ' Mattarellum'.

Quel referendum è stato il primo responsabile della instabilità che si è determinata e che ha annullato la politica. I sistemi diversi da quello proporzionale incrinando l’identità, determinano ' l’indistinto', e a poco a poco compromettono la ' rappresentanza'. In assenza di un sistema proporzionale i partiti sono diventati personali, hanno perduto la loro peculiarità, la loro specificità, e hanno consentito il più bieco trasformismo, l’indifferenza rispetto alle scelte, e hanno diseducato e corrotto la classe dirigente.

Il risultato è stato vent’anni di scontri, di mancanza di un metodo di comportamento nei partiti che sono sotto gli occhi di tutti.

È dal 1994 che i sistemi elettorali nazionali ma anche quelli locali costringono partiti o movimenti diversi a stare forzosamente insieme, a fare ammucchiate che hanno umiliato e sbiadito la identità. Se Segni sostiene che Renzi in occasione del referendum è stato votato dal 40% degli elettori e ritiene che può far valere quel risultato come “forza politica” di sostegno vuol dire che si è smarrito il concetto di appartenenza e di identità perché un insieme composito di voti non determina solidarietà politica né un programma di governo. Il trasformismo che si è determinato in questa legislatura e che ha consentito a circa 300 parlamentari di trasmigrare in gruppi diversi, è determinato proprio dalla mancanza di identità e di dimensione politica dei gruppi politici. Io credo che con il referendum del 4 dicembre sia finita la transizione che dura dal 1992, dal famoso referendum indetto da Segni che sfilò il primo mattone dell’edificio della cittadella democratica.

Se si comprende davvero il significato del voto referendario bisogna dar vita ad una legge elettorale proporzionale per rimettere insieme quelli che si riconoscono in comuni valori e in una comune proposta politica. Bisogna cancellare i 25 anni perduti: nel 1994 la DC ebbe alle elezioni il 14,50% e gli furono attribuiti quattro deputati; con un sistema proporzionale avrebbe avuto una adeguata rappresentanza e non si sarebbe dileguata. La storia sarebbe stata diversa. Ho sempre pensato che se negli anni 70 e 80 in presenza delle rivolte studentesche, delle contestazioni, del terrorismo, non si fosse raccolto il consenso con un sistema elettorale proporzionale che consentiva la rappresentanza in Parlamento anche degli “extraparlamentari”, probabilmente avremmo avuto violenze sociali e contestazioni più forti nei confronti del Parlamento. Il Parlamento deve essere lo specchio del paese: si tratta di un principio giuridico costituzionale ma anche politico e sociale. Per tanti anni abbiamo immaginato che la governabilità si potesse realizzare a scapito della rappresentanza giustificando il tutto con una semplificazione puerile: un errore storico.

Nel nostro paese è diffusa l’opinione che il premio di maggioranza sia uno strumento per agevolare la governabilità, perché dare la maggioranza assoluta dei seggi ad un partito ( o alla coalizione dei partiti) che ha ottenuto la maggioranza relativa, consente governi stabili e duraturi. Questa opinione è fasulla. Per chi crede nella centralità del Parlamento, è stato detto giustamente, “l’idea stessa di un premio di maggioranza è da respingere per la semplice ragione che la governabilità non può essere affidata ad astrusi virtuosismi aritmetici”. La governabilità è garantita dalla larga condivisione di alcuni fondamentali valori da parte delle classi dirigenti e dei cittadini. Sostituire all’assenza di questa condivisione un meccanismo aritmetico è operazione facile ma futile.

Bisogna tornare a un sistema proporzionale che aiuta la aggregazione delle posizioni omogenee e consente la rappresentanza di tutte le posizioni culturali e politiche presenti nel paese.

Le repubbliche parlamentari funzionano se consentono ai rappresentanti del Parlamento di costruire nel Parlamento le alleanze per governare. Ritengo dunque che sia finita la lunga transizione cominciata negli anni 90 che si è conclusa con il “capolavoro”! delle modifiche alla Costituzione inconsistenti o improvvisate: il nuovismo come elemento di “novità” è stato rifiutato perché inconsistente.

La vittoria del No al referendum ha riconfermato il principio di legittimità di un Parlamento che non può essere formato da nominati ma da eletti, scelti dai cittadini e ha ripristinato il principio di equilibrio tra i poteri dello Stato: gli elettori dopo anni sono andati a votare per conservare la Repubblica parlamentare anziché dar vita ad una Repubblica incerta e falsamente presidenziale: un risultato straordinario per l’Italia e l’Europa. Gli elettori sono stati sollecitati a riflettere, a salvaguardare la rappresentanza con una risposta così consistente che costituisce una forte sollecitazione alla classe dirigente a cambiare davvero, a rianimare la politica.

Gli elettori, mi viene da dire all’onorevole Segni, hanno corretto tutto quello di vacuo ha fatto la classe dirigente in questi ultimi venticinque anni. Il popolo chiede dunque di essere rappresentato e di partecipare.