Solo un ' dottor Sottile' come Giuliano Amato, che d’altronde si porta meritatamente addosso questo soprannome da tempo, specie da quando a Palazzo Chigi divenne, nei panni di sottosegretario, il vero braccio destro di Bettino Craxi, aiutandolo anche a vincere il referendum sui tagli antinflazionistici alla scala mobile organizzato contro di lui dai comunisti, poteva riuscire di convincere la maggioranza della Corte Costituzionale a bocciare il referendum promosso dalla Cgil sulla materia dei licenziamenti. Materia sempre incandescente, sul piano sociale e politico, ma ancora di più in questo momento per diverse ragioni.

La prima di queste ragioni è naturalmente la crisi economica, lontanissima dal superamento, per quanto ottimismo ci abbia messo e ci metta ancora Matteo Renzi per convincerci del contrario.

La seconda ragione dell’incandescenza sta nel clima creatosi con la clamorosa bocciatura referendaria - ' strasconfitta', l’ha chiamata lo stesso Renzi rimettendoci la guida del governo - per cui un referendum del tipo promosso dalla Cgil sarebbe stato di un esito scontato a favore del sindacato di Susanna Camusso. Tanto scontato che, secondo le anticipazioni sfuggite a quel primatista di autoreti che è diventato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il segretario del Pd lo avrebbe cavalcato come un motivo in più per preferire le elezioni anticipate. Che per legge avrebbero rinviato il referendum di uno e forse anche due anni, come accadde nel 1972 per il referendum sul divorzio, spostato al 1974. E abbiamo così spiegato anche la terza ragione dell’incandescenza del nodo sciolto, anzi tagliato dalla Corte Costituzionale.

Tutto, ad un certo punto, sembrava giocasse a favore della Cgil della Camusso nel palazzo della Consulta. Favorevole all’ammissibilità del pur zoppicante referendum era infatti la giudice relatrice Silvana Sciarra, professoressa universitaria di diritto del lavoro, convinta che il referendum fosse legittimo pur imponendo alla disciplina dei licenziamenti, con i tagli proposti dalla Cgil, freni superiori anche a quelli esistenti prima delle modifiche fatte apportare da Renzi con la riforma del mercato del lavoro, nota come Jobs act.

Ma quando dalla relazione si è passati alla discussione le ragioni addotte da Amato contro il carattere, secondo lui, sfacciatamente manipolativo, e non solo abrogativo, del referendum contro i licenziamenti, non c’è più stata trippa per gatti, come si dice a Roma. È finita con otto voti a cinque. E con la Camusso tanto arrabbiata nel suo ufficio da minacciare un ricorso, bontà sua, solo alla Corte Europea, e non anche alle Nazioni Unite.

Renzi, anche se senza questo referendum si fa più impervio il progetto delle elezioni attribuitogli dalla sera del 4 dicembre, quando perse la partita della riforma costituzionale, sembra avere accolto con sollievo il verdetto della Consulta. Che non mette in pericolo anche la sua riforma del mercato del lavoro, dopo quella della Costituzione.

Gli altri due referendum della Cgil rimasti in piedi, per i quali il governo dovrà procedere ora a fissare la data scegliendo una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno, sono relativamente facili da evitare modificando la disciplina dei buoni di lavoro accessorio, chiamati voucher, peraltro usati di frequente anche dalle organizzazioni territoriali della Cgil, e introducendo la responsabilità in qualche modo in solido, verso i lavoratori, di chi dà e ottiene gli appalti.

Il salvataggio della disciplina dei licenziamenti, ritenuto dal governo decisivo per incoraggiare gli investimenti industriali, deve avere fatto benedire a Renzi il giorno in cui, an- che a costo di rompere il famoso Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, decise due anni fa di lasciare Giuliano Amato dov’era, alla Corte Costituzionale, preferendo che da lì si trasferisse invece al dirimpettaio Quirinale Sergio Mattarella. Eppure nel Pd c’era qualcuno disposto, come Pier Luigi Bersani, a spendersi per Amato: cosa che sembra avesse tanto sorpreso quanto insospettito l’allora presidente del Consiglio.

Per quanto riguarda il danno collaterale, se non addirittura ritorsivo, secondo le interpretazioni più maliziose, che il dottor “Sottilissimo”, a questo punto, potrebbe avere procurato a Renzi disinnescando la mina delle elezioni anticipate, permettetemi di cominciare ad avere qualche dubbio sui progetti in questo senso attribuiti così diffusamente al segretario del Pd.

È quanto meno curioso che da qualche giorno Il Foglio, spesosi moltissimo a favore di Renzi già prima della sfortunata campagna referendaria sulla riforma costituzionale, sino a ingelosire ' l’amor nostro', come ancora chiamano da quelle parti Silvio Berlusconi, stia consigliando al segretario del Pd le elezioni alla scadenza ordinaria del 2018. È una rivincita, un ritorno di o da Berlusconi, o la percezione di qualcosa che sta maturando nel ' royal baby', come Giuliano Ferrara chiamò Renzi in un libro elogiativo? Un Ferrara che fu il primo, dopo la sconfitta referendaria del 4 dicembre, a reclamare le elezioni il più presto possibile, anche sotto la neve e il gelo che ci ha portato questo micidiale 2017.