«Renzi vorrebbe una stampella di sinistra per sbarazzarsi di Sinistra Italiana, ma Giuliano Pisapia non si presterà a questo gioco». Alfredo D’Attorre, ex deputato del Partito Democratico e ora membro dell’esecutivo nazionale di Sinistra Italiana, punta al congresso di febbraio come al «passaggio più importante per la sinistra prima del voto».

Onorevole, lei ci sarà il 22 gennaio a Roma quando Pisapia spiegherà il suo progetto del “Campo progressista”?

Io non so nulla di questa iniziativa e addirittura non è nemmeno certo che si tenga il 22 gennaio. La sensazione è che sia tutta un’operazione di spin che parte dagli am- bienti renziani, che alimentano la lettura di un desiderio, più che di un processo politico in atto.

Un desiderio di chi?

Il desiderio di Matteo Renzi di avere una stampella politica che lo legittimi, permettendogli di sbarazzarsi definitivamente sia della sinistra Pd che di Sinistra Italiana.

Non crede che quello di Pisapia sia un progetto autonomo, dunque?

Tutt’altro: io credo che personalità del calibro di Giuliano Pisapia e Laura Boldrini vorranno prestarsi a operazioni di questo tipo.

Eppure la linea del “Campo progressista” è sempre stata più indulgente con Renzi, rispetto a quella di Si...

Ci sono state articolazioni di giudizio diverse rispetto a Sinistra Italiana, come diversa è stata la collocazione di Pisapia al referendum costituzionale. Ciò non toglie che anche Pisapia si rende conto che occorre una profonda discontinuità rispetto al 4 dicembre: quel voto è stato uno spartiacque e segna una bocciatura complessiva di tre anni di governo.

E dunque che forma dovrebbe avere questo blocco di sinistra alternativo al Pd di Renzi?

Io credo che il congresso di Sinistra Italiana sarà un momento fondamentale per delinearla: sarà il momento più importante per gli elettori di sinistra prima delle elezioni, visto che il Pd ha deciso di rinviare a data da destinarsi qualsiasi confronto democratico interno.

E quali saranno i capisaldi?

Io immagino una nuova sinistra popolare e di governo. Una sinistra che inizi a costruire una nuova agenda progressista, che volti pagina sia rispetto al fallimento delle politiche renziane ma anche rispetto agli errori compiuti in precedenza, che hanno spianato la strada al renzismo. Sinistra Italiana non si candida a occupare un piccolo spazio di testimonianza residuale. Non è l’ennesimo partito della sinistra radicale, ma nasce per riaprire la partita politica in Italia e restituire una casa a molti elettori progressisti che la hanno persa.

Le sue parole allontanano qualsiasi ipotesi di alleanza della sinistra con il Pd...

Guardi, io credo che il tema delle alleanze vada declinato in maniera diversa. E’ necessaria prima di tutto una vera condivisione programmatica: mi posso alleare anche col diavolo, ma sulla base di un programma radicalmente alternativo a quello degli ultimi tre anni. Senza capire prima che cosa fare in materia di lavoro, per esempio, parlare di alleanze è del tutto illusorio.

A proposito di jobs- act, la Consulta deciderà sul referendum proposto dalla Cgil. Se si andasse a votare, lei voterebbe sì?

La mia posizione è in linea con quella della Cgil e credo che tutte le forze di sinistra dovranno fare una battaglia determinata perché i tre quesiti referendari passino, visto che l’obiettivo non sarà solo il sì all’abrogazione ma soprattutto il raggiungimento del quorum.

Potrebbe essere un altro banco di prova per le alleanze?

E’ chiaro che, se si terrà, il referendum segnerà un ulteriore confine di una nuova proposta politica progressista. E’ impensabile qualsiasi alleanza con chi continua a difendere il jobs- act, anche di fronte all’evidenza numerica del suo fallimento.

La sinistra Pd di Roberto Speranza, si trova su posizioni simili alle sue ma all’interno del partito. Potrebbe essere un fronte con cui dialogare?

Assolutamente sì. Agli appuntamenti decisivi ci troveremo dalla stessa parte con le forze di sinistra che ancora sono nel Pd. E’ stato così anche sul referendum costituzionale e sarà così anche ai referendum sul lavoro. Dopo il nostro congresso, dovremo lavorare assieme per costruire una nuova agenda progressista, a fronte del fallimento del renzismo.

La legge elettorale influirà molto sulle alleanze, dentro e fuori il Pd. Quale sistema elettorale sarebbe auspicabile?

Il referendum ha chiuso ogni illusione iper- maggioritaria. L’Italia ora ha bisogno di una legge che rimetta il sistema su binari parlamentari: l’ideale sarebbe un impianto proporzionale, con una soglia di sbarramento che eviti troppa frammentazione e la possibilità per gli elettori di scegliere gli eletti con le preferenze o, meglio ancora, con collegi uninominali. Se il Pd si convincesse, si troverebbe larga convergenza in Parlamento, nel giro di pochi mesi.