Ora non facciamo le verginelle, noi giornalisti, per favore. Gestiamo un potere di vita e di morte sui cittadini, secondo solo a quello dei magistrati. I quali peraltro sono più che soddisfatti quando hanno la nostra complicità ma anche il nostro incitamento, come sta accadendo in questi giorni con l’istigazione palese a che qualcuno si sbrighi a inviare un’informazione di garanzia al sindaco di Roma Virginia Raggi. Non possiamo dirci vittime, neppure quando capita, come in questi giorni, che un importante leader politico quale Beppe Grillo, ci accusi di essere manipolatori e dispensatori di notizie false. Non è forse vero? Non interessa il fatto che lui stesso con questa dichiarazione cerchi a sua volta di manipolare l’opinione pubblica ( e ci riuscirà, perché la nostra categoria non è molto amata), quel che conta è avere il coraggio di superare la debolezza del corporativismo per ritrovare la forza di guardarci allo specchio e fronteggiare ad armi pari l’interlocutore politico. Né vittime né carnefici.

Cerchiamo prima di tutto di non trasformare in vittima il “carnefice” Grillo, come fu fatto con Berlusconi per il reato di “editto”, mentre fu salvato Renzi, che pure cacciò dalla direzione del Tg3 una brava giornalista come Bianca Berlinguer, la “strega” che non gli baciava l’anello. Cerchiamo di guardare con occhio autocritico tutti i nostri editti e le nostre manipolazioni. Piero Sansonetti ha spiegato molto bene quel che succedeva nelle redazioni dei tre principali quotidiani italiani e in quello che era organo del Pci nei primi anni novanta quando, in piena Tangentopoli, gli imprenditori ( compresi quelli che erano anche editori) cercavano in ogni modo di evitare la galera e i quattro direttori concordavano l’uscita collettiva del giorno dopo. E intanto, mentre Romiti e De Benedetti salvavano i polsi dalla seccatura delle manette, cadeva la Prima Repubblica. Siamo così sicuri che a vent’anni di distanza, noi siamo diventati più virtuosi?

Sappiamo bene che quando inizia una campagna stampa nei confronti di qualcuno, quel qualcuno finirà, volente o nolente, per doversi dimettere. L’abbiamo visto accadere a Roma nei confronti dell’ex sindaco Marino, crocifisso per una questione di scontrini, e contro l’ex ministro Lupi ( mai colpito da alcun provvedimento giudiziario) per un orologio regalato al figlio da un amico di famiglia. Questo significa una cosa sola: non solo che la stampa italiana è libera, ma anche che è in grado di modificare la realtà, quindi che è potente. E allora non si può prima dire che occorre colpire le bufale dei social ( la violenza verbale sì, invece) e poi offendersi se Grillo ci dice che anche noi ogni tanto le spariamo grosse, e che vuol fare il “tribunale del popolo” neanche fosse il capo delle Brigate rosse. Impariamo prima noi a rispettare gli altri, tutti. Beppe Giulietti, presidente della Federazione della stampa, nell’intervista al nostro giornale invita Grillo a sollecitare i suoi parlamentari perché facciano approvare due proposte di legge giacenti in Parlamento: una contro il carcere per i giornalisti, l’altra contro la “querela temeraria”, cioè pretestuosa e finalizzata a tappare la bocca al giornalista scomodo. Bene, questa seconda è argomento molto scivoloso e Giulietti, che è stato in Parlamento quindi è anche un politico di professione, sa bene che quando un quotidiano ( o anche un singolo giornalista) ti prende di mira, ne puoi uscire solo attraverso la querela, l’unica forma di autodifesa possibile.

Enrico Mentana, direttore del TgLa7, con un’accorata pubblica dichiarazione di difesa della propria correttezza professionale, ha annunciato di querelarsi nei confronti di Beppe Grillo. Poi pare abbia cambiato idea. Ma è proprio sicuro di essere lui, in rappresentanza della categoria, la vera vittima e non, talvolta il “carnefice”?