La sensibilità giuridica del presidente della Consulta, Paolo Grossi, spiega la ragione del rinvio del verdetto sull’Italicum risalente all’autunno scorso, in pendenza del referendum. Mi aspetterei pertanto da un presidente sapientissimo come lui un garbato ma deciso rifiuto di sostituirsi al Parlamento e di rinviare il verdetto sull’Italicum ancora una volta. Cara Consulta fai un regalo alla politica: rinvia la sentenza sull’Italicum

Paolo Grossi merita un doppio augurio di buon anno. Uno come giurista di grande cortesia e ' sapientissimo', come me lo descrive il comune amico e costituzionalista pugnace Paolo Armaroli. Un altro augurio Grossi se lo merita come presidente della Corte Costituzionale, nelle cui mani si trovano due affari, chiamiamoli così, decisivi per la sorte di questa legislatura già tormentata di suo dalla nascita, quasi quattro anni fa.

Un affare, il più recente, è il grappolo dei tre referendum promossi dalla Cgil di Susanna Camusso contro la riforma del mercato del lavoro targata Renzi, al pari della riforma costituzionale clamorosamente bocciata dagli elettori il 4 dicembre scorso.

Se tutti e tre i referendum sul cosiddetto Jobs act dovessero essere dichiarati ammissibili nella settimana prossima dalla Corte Costituzionale e restasse quindi al governo il compito di fissarne la data in una domenica compresa fra il 15 aprile e il 15 giugno, il segretario del Pd rischierebbe di prendere un’altra botta, coi tempi che ormai corrono per lui. A meno che la Corte non gliene risparmi qualcuno, magari quello politicamente più scabroso, che riguarda la disciplina degli scioperi, e lasci sul campo gli altri due, fa cui quello sui buoni per i lavori occasionali, chiamati voucher. Su cui sarebbe forse meno difficile tentare una modifica parlamentare delle disposizioni contestate dalla Cgil: una modifica tempestiva e tale nei contenuti da fare considerare dai giudici costituzionali superate le ragioni dei referendum già indetti.

Ma il problema è, appunto, di vedere di quanto potrebbe ridursi la difficoltà di cambiare le norme in Parlamento prima che gli elettori possano abolirle del tutto. Quanto più rimarrà grande questa difficoltà, in un intreccio di conflitti politici e sociali, cioè sindacali, tanto più crescerà la tentazione della maggioranza di governo, un po’ troppo ingenuamente confessata dal ministro renziano del Lavoro Giuliano Poletti, di rinviare di almeno un anno i referendum accelerando la corsa già avviata dal segretario del Pd verso le elezioni anticipate. Cui non è sovrapponibile per legge una campagna referendaria. Gli equilibri politici nella nuova legislatura potrebbero permettere le modifiche parlamentari alla riforma del mercato del lavoro eventualmente rivelatesi impossibili nello scorcio di questa zoppicante legislatura.

Decisamente più capace di condizionare le scelte politiche e la sorte delle Camere elette nel 2013 sarà il verdetto che la Corte Costituzionale si è proposta di emettere sulla legge elettorale in vigore dall’estate scorsa per i soli deputati e nota come Italicum. Ciò che potrà uscire di questa legge dalla Corte potrà ulteriormente allontanare o avvicinare i partiti nella trattativa sulla sua riforma che il Pd intende avviare prima ancora che i giudici costituzionali ne discuteter- ranno nell’udienza annunciata per il 24 gennaio.

In verità, la pronuncia dei giudici del Palazzo della Consulta era già stata programmata per il 4 ottobre scorso, giorno peraltro di San Francesco, patrono d’Italia. Ma il buon Grossi ritenne di rinviare tutto di più di due mesi allo scopo encomiabile di non interferire nella campagna referendaria sulla riforma costituzionale. Che, pur non riguardando l’Italicum, ne subiva in qualche modo i contraccolpi con quello che fu chiamato il ' combinato disposto' dei troppi vantaggi che la maggioranza di turno avrebbe potuto ricavare dal cosiddetto premio elettorale di governabilità e da un sistema parlamentare semplificato con l’assegnazione alla sola Camera del potere di dare e togliere la fiducia all’esecutivo.

Sono già venuti allo scoperto quelli che, non sapendo o non volendo scegliere fra il ritorno al Mattarellum, proposto da Renzi per le buone prove date fra il 1994 e il 2005 a favore sia del centrodestra sia del centrosinistra, e il ritorno, ancora più indietro, al sistema proporzionale della cosiddetta prima Repubblica, perseguito soprattutto da Silvio Berlusconi, vorrebbero andare alle elezioni anticipate con due leggi diverse, entrambe prodotte curiosamente dalla Corte Costituzionale. Sarebbero il tanto vituperato Porcellum per il Senato, nella versione proporzionale derivata dai tagli apportati dalla Corte con una sentenza del 2014, e l’Italicum per la Camera nella versione che uscirà da quella specie di sartoria che è diventata la Consulta. I cui giudici possono tagliare dell’Italicum ciò che ritengono non conforme ai principi costituzionali, alla sola condizione che ciò che ne rimane sia immediatamente applicabile, non potendo il sistema risultare bloccato dalla mancanza di regole per votare.

Non mi risulta che il sapientissimo Paolo Grossi, per ripeterne la definizione dì Armaroli, sia di quelli tanto delusi o stanchi della politica da benedire i momenti in cui essa delega alla magistratura le scelte legislative che appartengono al Parlamento, o si fa comunque espropriare dei suoi compiti, per esempio con sentenze che riempiono vuoti legislativi o forzano l’applicazione dei codici grazie alla discrezionalità interpretativa delle toghe.

La sensibilità di Grossi in questa materia spiega la ragione del rinvio del verdetto sull’Italicum risalente all’autunno scorso, in pendenza del referendum. Mi aspetterei pertanto da un presidente sapientissimo come lui un garbato ma deciso rifiuto di sostituirsi con la sua Corte al Parlamento nel momento in cui questo è impegnato nell’ennesima riforma elettorale: un impegno implicito nella fiducia accordata al governo Gentiloni, che ha indicato proprio nella riforma elettorale la prima urgenza politica.

Ancora più esplicitamente, mi aspetterei da Grossi il rifiuto, visti i giochi partitici e correntizi in corso a cielo aperto, di togliere le castagne dal fuoco a una classe politica - si dice così? - che non avverte il dovere di svolgere il proprio ruolo. E si copre un po’ troppo opportunisticamente dietro la Corte di turno, ordinaria o costituzionale che sia, salvo riproporsi poi velleitariamente, o ipocritamente, di riprendersi il suo ' primato'.

Il buon Grossi pertanto comincerebbe come meglio non potrebbe questo 2017 rinviando ancora una volta il verdetto sull’Italicum per lasciare il Parlamento davvero libero di modificarlo come vuole, e come gli compete, senza scuse o pretesti per lavarsene le mani, o quasi. Egli passerebbe così alle Camere una bella calza della Befana.

Auguri pertanto di buon anno davvero, ripeto, all’esimio presidente della Corte Costituzionale. Il quale potrebbe del resto ritenere di avere in questo caso dalla sua parte il presidente della Repubblica, se è vera l’interpretazione che del messaggio di Capodanno di Sergio Mattarella ha dato il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, lodevolmente abituato ad avvertire anche umori e sospiri nel palazzo che fu dei Papi e dei Re. È stato lui a scrivere che Sergio Mattarella, peraltro ex giudice costituzionale, si aspetta che la nuova legge elettorale, nella necessaria omogeneità o armonizzazione per garantire una Camera e un Senato il più possibile compatibili fra di loro, venga fatta consapevolmente dal Parlamento, senza scaricare sulla Corte compiti che non sono suoi.