Ad Andrea Orlando avrebbe fatto comodo avere il campo sgombro almeno dal conflitto con i magistrati. E invece quello che il ministro della Giustizia ha definito, in un’intervista a Repubblica, come «l’ultimo miglio» della riforma penale dovrà scontare anche il clima teso tra governo e Anm. Il mancato inserimento nel milleproroghe delle norme chieste dai giudici su pensioni e trasferimenti offrirà un’arma in più a quella minoranza pd irriducibilmente contraria al compromesso sulla prescrizione. Eppure Orlando proverà in tutti i modi a far indossare l’elmetto alla nuova responsabile per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro: fino a pochi giorni fa presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, la neoministra sarà indispensabile nell’ultima battaglia a Palazzo Madama sul ddl che modifica anche intercettazioni, impugnazioni e molto altro. Al ritorno in Aula, i senatori si cimenteranno subito nella difficile decisione sull’insandacabilità delle dichiarazioni di Gabriele Albertini nei confronti del pm Alfredo Robledo. Si tratterà di un banco di prova sullo stato di tensione nella maggioranza. Qualora fosse superato senza traumi, si potrebbe mettere la testa sul ddl penale, ora che il guardasigilli ha un motivo in più per spingere sull’acceleratore: il fronte da lui aperto contro “l’odio via web” e, in generale, ogni forma di gogna mediatica. Nella travagliata riforma del processo ci sono anche norme che traducono in qualche modo l’esortazione rivolta da Orlando sempre nell’intervista a Repubblica: «Pm e giudici vigilino sui cortocircuiti mediatici o sulle strumentalizzazioni politiche». Le limature sugli “ascolti” apportate dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama prevedono in effetti una precisa responsabilizzazione dei pubblici ministeri rispetto alla trascrizione delle telefonate. Saranno loro a doversi accertare che gli addetti di polizia giudiziaria materialmente preposti a compilare i brogliacci evitino di riportare le conversazioni tra persone non oggetto d’indagine e che non forniscono elementi di prova. Una premura da adottare soprattutto laddove il materiale trascritto dovesse violare indebitamente la privacy di chi è estraneo al procedimento. È una traduzione delle circolari diramate da diversi procuratori capo. Ed è soprattutto una previsione dotata di qualche efficacia considerato che, come fa notare proprio un senatore ex pm come Felice Casson, «quegli inquirenti che dovessero venir meno alla responsabilità di vigilare sulle trascrizioni potrebbero essere oggetto di procedimento disciplinare». Dietro la posizione sorprendentemente severa del senatore dem nei confronti delle Procure, c’è in realtà una preoccupazione diffusa tra i magistrati sugli effetti sempre meno controllabili del cosiddetto processo mediatico.

Se andasse in porto la riforma con dentro la delega sulle intercettazioni, dunque, Orlando darebbe un segnale sul tema a lui caro della gogna giudiziaria, realizzerebbe in fondo una convergenza con la stragrande maggioranza degli stessi pm e porterebbe a segno un buon compromesso comodo a molti. Alle toghe persino più che all’avvocatura, visto che le prime incasserebbero norme comunque più restrittive sulla prescrizione e otterrebbero il sospirato intervento sulle loro pensioni. Riuscisse a condurre in porto anche la riforma del processo civile, pure bloccata in coda a Palazzo Madama ma assai meno controversa, il guardasigilli farebbe un insperato en plein. E cogliebbe dimostrato, oltretutto, che a rallentare il treno della giustizia erano anche le sottili ma decisive divergenze tra lui e l’ex inquilino di Palazzo Chigi Matteo Renzi.