Per 47 anni la vita di Jacqueline Sauvage è stata uno sfregio continuo di abusi e umiliazioni, tiranneggiata da un marito- padrone, un uomo «cattivo e brutale» che ti riempiva di botte per un piatto di zuppa tiepida o per una camicia stirata male, un uomo temuto da tutti nel suo villaggio e da cui tutti si tenevano alla larga. Norbert Marot, collo taurino, guance rubiconde, grande attaccamento al denaro, qualche truffa di poco conto, una forte passione per la caccia, nessuna empatia possibile per i suoi simili, ancor meno verso i propri “cari”, è l’uomo della sua vita e sarà anche il peggiore dei compagni possibili.

Quando, il 10 settembre del 2012 lo abbatte con tre colpi fucile, due alla schiena, uno alla testa, Jacqueline vive una crudele liberazione, non subirà più le violenze, non verrà più picchiata o segregata, però deve scontare diedci anni di prigione per omicidio volontario, una pena ridotta da tutte le attenuanti del caso ma considerata troppo severa dall’opinione pubblica d’oltralpe. Attorno al suo caso è nato un movimento, petizioni di intellettuali, iniziative di associazioni femministe, manifestazioni di piazza, milioni di firme raccolte in tutta la Francia. Mercoledì il presidente François Hollande le ha infine concesso la grazia: a 68 anni Jacqueline Sauvage è una donna libera ( anche se la pena non è estinta), ma gli spettri del passato la perseguiteranno per sempre. Ecco la sua straziante storia.

Nata nel 1947 a Melun, cittadina della Val- de- Marne a 50 chilometri da Parigi, in una famiglia modesta e numerosa ma già marcata dal dolore: due delle sue sei sorelle muoiono in giovanissima età, la madre - triste premonizione- è regolarmente picchiata dal papà e come molte donne della sua generazione vive questa condizione con malinconica rassegnazione, figuriamoci se mai avrà la forza di denunciarlo. Jacqueline ha solo un sogno: andare via di casa e farlo il prima possibile. Malgrado il buon rapporto con la madre, capisce che la salvezza è fuori da quelle quattro mura. L’occasione si presenta quando incontra Norbert. I due sono adolescenti, lei ha 14 anni, lui uno di più e ha già la fama del tipo violento, sempre pronto a menare le mani o a buttarsi in una rissa, ma sembra più maturo della sua età e questo la rassicura. «All’epoca Norbert mi faceva sentire forte, era in tutti i miei pensieri, lo amavo con tutta me stessa», dirà nel corso del processo.

A 17 anni rimane incinta, quindi arriva il matrimonio riparatore e a 25 anni ha già sfornato quattro figli. Nel frattempo, costretta da Norbert che non sopporta la madre, ha rotto i ponti con la famiglia, un passaggio obbligato per l’isolamento e la schiavitù in cui è sprofondata: ora è sola, faccia a faccia con il suo carnefice. Lui pretende di essere servito e riverito dalla consorte- serva, esce spesso la sera, rientra a casa ubriaco: schiaffi, pugni, calci, intemperanze, al pronto soccorso di Melun Jacqueline è conosciuta, tutti sanno chi è e cosa fa quel marito violento, tutti, i vicini di casa, gli insegnanti dei loro figli, anche la gendarmeria, ma nessuno muove un dito. Norbert la maltratta senza pietà, però ha anche bisogno di lei. La fa lavorare nella piccola ditta di trasporti che ha fondato, compiti di ragioneria, da sbrigare a casa, tra una lavatrice da caricare e una cena da preparare per l’esigente marito che intanto se la spassa con la giovane rappresentante di commercio della ditta, diventata la sua amante ufficiale. Abuserà anche di due delle tre figlie, paralizzate dalla paura e dalla vergogna dell’incesto. Durissimo il trattamento riservato al figlio Pascal, assunto nell’azienda familiare e anche lui picchiato e umiliato in pubblico, una specie di zerbino su cui sfogare ogni giorno rabbia e frustrazione. Pascal si toglierà la vita impiccandosi nel suo appartamento l’ 8 settembre 2012, due giorni prima dell’omicidio del padre. Aveva 44 anni.

Quando Jacqueline Sauvage ha premuto il grilletto contro il suo aguzzino ignorava che suo figlio si fosse suicidato. L’assassinio di Norbert Marot è stato commesso con lucidità, tecnicamente non è legittima difesa ma omicidio premeditato, moralmente è il punto di esasperazione di 47 anni di abusi e sevizie. Due ore prima di premere il grilletto Jacqueline era stata presa per i capelli e trascinata in cucina: «Fammi da mangiare e zitta! » una scena consueta in quella casa degli orrori; poi Norbert si versa un bicchiere di whisky e attende in balcone la sua cena. Jaqueline cucina qualcosa, poi va in camera, prende un tranquillante e si addormenta per due ore. Al risveglio apre l’armadio dove è riposto il fucile da caccia Beretta, scende le scale, raggiunge Norbert e gli spara alla schiena. Poi telefona ai pompieri e confessa il crimine, prova a contattare anche il figlio che però non può più risponderle. Quando i gendarmi la arrestano non oppone nessuna resistenza.