L’11 di gennaio la Corte costituzionale dovrà decidere se si potrà svolgere il referendum per l’abrogazione della legge ' jobs act'. Un passaggio non squisitamente formale, dopo il via libera tecnico dell’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione, ma soprattutto un passaggio la cui sostanza è eminentemente politica, perché si tratta di una consultazione nella quale gli italiani dovranno dire come la pensano su un’altra delle riforme cruciali, quasi identitarie di Matteo Renzi: se apprezzano l’abolizione delle garanzie previste dal vecchio articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

I sostenitori del jobs act hanno già fatto sapere pubblicamente come la pensano, a cominciare per esempio dal giuslavorista e parlamentare Pd Pietro Ichino. In sostanza, la tesi è che la Corte respingerà la richiesta di referendum perché essa non è abrogativa, ma propositiva. Nello scriverla la Cgil ha infilato addirittura un’estensione delle garanzie contro l’ingusto licenziamento che l’articolo 18 della legge 300 del 1970 - lo Statuto dei Lavoratori, appunto - prevedeva per chi lavorasse in un’azienda con più di 15 dipendenti, abbassandole a 5. E dunque nella richiesta di referendum c’è un baco ( già si congettura di un errore infilato non a caso da una componente della Cgil avversa alla segretaria confederale Camusso): se c’è un elemento di legge nuovo, il referendum non è più abrogativo, ma ' propositivo'. E siccome i referendum propositivi nel nostro ordinamento non esistono, ecco che salta tutto.

Le cose sono in realtà perfino più complesse, e sfuggenti. Anzitutto perchè i referendari propongono nello stesso quesito non solo la secca ricusazione dell’intero jobs act, ma anche modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e modifiche che vedrebbero l’estensione di quelle garanzie a prescindere dalle dimensioni dell’impresa ( la soglia dei 5 dipendenti è stata introdotta dal jobs act, per le sole aziende agricole). E questo, presumibilmente, anche per ovviare alla prassi ( ossia: la giurisprudenza) della Corte per la quale cancellata una legge non può sopravvivere la precedente ( anche se una via di fuga ci sarebbe perché, come enunciato in un apposito scritto del giudice ed ex presidente Criscuolo, questo è poi invece possibile per ' ipotesi tipiche e molto limitate'), e tutto si può fare ma non lasciare vuoti legislativi.

Poi, i quesiti che la Corte ha all’esame in un’unica richiesta di referendum sono ben tre, oltre la cancellazione del jobs act e la modifica dello Statuto dei lavoratori, anche l’abolizione dei voucher e correzioni alle norme sugli appalti tali da rendere le aziende appaltatrici perfettamente responsabili nei confronti dei lavoratori ( come oggi, incredibile, non accade). Dunque, quesiti difformi tra loro posti in un’unica scheda di consultazione: la Corte potrebbe ricusarli proprio per questo. Ma la Corte potrebbe anche pensarla diversamente: la sua giurisprudenza, dal 1978, individua come ' limiti impliciti' ( ampliando dunque quelli costituzionalmente previsti dall’articolo 75) all’ammissibilità dei referendum la ' pluralità di domande omogenee carenti di matrice razionalmente unitaria': nel caso di cui discuterà l’ 11 gennaio una ' matrice razionalmente unitaria' la Corte potrebbe individuarla nella materia che è unica, i diritti dei lavoratori?

Il criterio della ' matrice razionalmente unitaria' poi, più che per decretare la completa inammissibilità del referendum, potrebbe essere usato dalla Corte anche per ammettere solo uno o due dei tre quesiti della Cgil. E un indizio da questo punto di vista lo si può trovare in un dettaglio: la Corte ha scelto non uno, ma ben tre relatori, come scorporando di fatto il referendum già nella disanima dell’ammissibilità. Degli appalti si occuperà il giudice Rosario Morelli, magistrato; di voucher il giuslavorista di recente nomina parlamentare ( considerato in quota Alfano) Prosperetti; e del jobs act invece un’allieva del padre dello Statuto dei lavoratori Gino Giugni, una giuslavorista di calibro internazionale e particolarmente tenace che risponde al nome di Silvana Sciarra. Ma, viceversa, la scelta di tre relatori potrebbe aver seguito semplicemente il criterio della necessità di approfondimento in una materia dalla vasta giurisprudenza: come sempre quando si tratta di Corte costituzionale gli aspetti in campo sono molteplici, e mai convergenti. Non si giunge a semplificazione mai, senza aver attraversato fino in fondo la complessità. E quale che sia il punto di partenza e le argomentazioni nulla è mai certo finché i giudici non si siedono attorno a quel tavolone pieno di microfoni, a ciascuno il suo, nella sala del Consiglio e cominciano a discuterne - e come si sa anche in maniera accesa - tutti insieme.

Al di là di quella che sarà la decisione che, motivata con sentenza potrebbe portare al referendum in data stabilita per decreto del Consiglio dei ministri tra il 15 aprile e il 15 giugno 2017, se non ci sarà una ricusazione completa di tutti e tre i quesiti si tratterà comunque di un referendum su Renzi. Ancora una volta. Poco importa se si andrà ai seggi per ristabilire l’articolo 18 ( modificato), cancellare i voucher o responsabilizzare chi si aggiudica un appalto: il voto sarà politico, e sarà sul governo che ha scritto quei provvedimenti.