Come un’Idra, il problema della legge elettorale muta ipotesi in certezze, sparge inquietudini e sospetti, fa da garanzia sulla vita al neonato governo. Ma resta, comunque, un rebus. Le forze politiche che han lanciato sul piatto il Mattarellum - a cominciare dal Pd di Matteo Renzi neanche han messo il tema nell’agenda parlamentare. Tutto va come aveva sussurrato Anna Finocchiaro il giorno del giuramento come ministro dei Rapporti con il Parlamento: «Aspettiamo la Corte costituzionale». Una bella cessione di sovranità politica. E dunque un punto fermo dovrebbe essere almeno nel calendario della Consulta: il 24 gennaio il collegio dei 14 giudici delle leggi ( il quindicesimo, l’avvocato Giuseppe Frigo di nomina parlamentare, considerato in quota Pdl, si è dimesso) si riunisce per esaminare la legittimità dell’Italicum. Ma neanche quella data potrebbe esser decisiva poiché in ossequio a se stessa in quanto ' organo giurisdizionale' la Corte potrebbe anche non comunicare immediatamente ( come dovrebbe, in ossequio alla Repubblica) la propria decisione, ma far attendere sino alla pubblicazione della sentenza, il che potrebbe voler dire teoricamente anche un paio di settimane.

Ma è soprattutto un passaggio del discorso che l’altroieri Sergio Mattarella ha tenuto alle Alte Cariche, in una delle due uniche occasioni dell’anno in cui il tema che il Capo dello Stato affronta è eminentemente politico, a far riflettere. Mattarella ha ripetuto che non si può andare ad elezioni finché le leggi elettorali con cui si eleggono Camera e Senato non saranno omogenee. Ed è sceso in dettaglio. Intanto, «ci troviamo nella fase conclusiva della Legislatura», le elezioni sono «un orizzonte per la verifica dell’allineamento del Parlamento rispetto agli orientamenti del Corpo elettorale», ha detto, anche se sarà il Parlamento a determinarle togliendo la fiducia al governo: che è come dire io non sciolgo le Camere, il governo Gentiloni vivrà finchè avrà i voti. Poi, per consentire nuove elezioni con «esiti chiari», servono «leggi elettorali, per la Camera e per il Senato, che non siano, come in questo momento, l’una fortemente maggioritaria e l’altra assolutamente proporzionale ma siano omogenee e non inconciliabili fra di esse». La chiosa é il passaggio più importante: «Leggi, inoltre, pienamente operative affinché non vi siano margini di incertezza nelle regole che presidiano il momento fondamentale della vita democratica».

Quel «pienamente operative» è calato come una scure sull’irresponsabilità con la quale si anestetizzano le forze politiche: perché, per quanto necessariamente e immediatamente autoapplicative, le decisioni della Corte costituzionale necessiteranno comunque di «aggiustamenti».

Perché, se anche ci si potesse limitare ad applicare il nuovo Consultellum per la Camera, esso sarebbe comunque da armonizzare con il vecchio Consultellum attualmente in vigore per il Senato.

È evidente che non si può pretendere dalla Consulta che, motivando i punti di incostituzionalità dell’Italicum, si preoccupi pure di farlo ' in armonia' con la legge vigente per le elezioni al Senato. Qualcuno lo spera, e infatti tra i Palazzi e tra gli opinion leader - tra loro Eugenio Scalfari - gira una parola d’ordine: «La sentenza della Corte è già scritta». Ipotesi quantomeno spericolata: magari qualcuno tra i giudici delle leggi la considera tale, ma è cosa notoria che le dinamiche decisionali tra i 14 non siano propriamente lineari, prova sia proprio la curiosa vicenda dell’Italicum, del quale si annunciò ad aprile che lo si sarebbe esaminato il 4 ottobre ( mandando irresponsabil-mente in fibrillazione politica e altre istituzioni), per poi rinviarlo a data da destinarsi improvvisamente, a metà settembre, per autonoma decisione presidenziale ( e svariati organi d’informazione hanno documentato come sul rinvio non ci fosse compattezza nel Collegio, peraltro non al completo al momento di quella decisione).

Oggi, nei Palazzi dove molti non riescono a interpretare gli atti di un’istituzione chiusa nel suo orgoglio da organo giurisdizionale ( e cioè che decide da sé su se stesso, e non ritiene di dover motivare), ci si aspetta inopinatamente - che la Corte riduca l’Italicum a Consultellum, ovvero che cancelli dalla legge elettorale scritta per Renzi dal professor D’Alimonte ogni traccia di maggioritario. Ma la Corte ha davanti a sé un cammino tracciato. Dell’Italicum non deve giudicare tutto l’impianto ( come sarebbe accaduto se la riforma costituzionale di Renzi avesse visto la luce). Deve giudicare, in sostanza e su ricorso filtrato da tre tribunali della Repubblica ( Messina, Torino e Perugia: i ricorsi da Trieste e Genova sono arrivati, ma non si sa se verranno esaminati il 24), dell’attribuzione del premio di maggioranza alla lista col 40 per cento dei voti, della soglia di sbarramento del 3%, dei capilista bloccati che possono poi scegliersi liberamente e senza criteri oggettivi il collegio d’elezione. Basta un colpo di spugna su questi punti a fare un organico sistema proporzionale? Lasciando lì le liste bloccate alla spagnola e altri ammennicoli? Magari sì, magari ha ragione la politique- politicienne, tutto è possibile specie in Italia... Ma magari invece la Corte deciderà delle vere correzioni, impiantando un sistema con maggiore organicità, ma non squisitamente proporzionale. La politica dovrebbe insomma capire che non può abdicare allo scrivere la legge elettorale. Che è in fondo il momento più denso nell’esercizio della rappresentanza. Non sarebbe meglio mettersi subito al lavoro, invece di aspettare la Consulta, e visto che oltretutto lo si dovrà fare comunque dopo, la sentenza della Corte?