Un paladino dell’antimafia, con la passione per i dossieraggi, indagato per concorso esterno a Cosa Nostra.

Dei magistrati simbolo nella lotta alla criminalità organizzata “accusati” di aver chiesto favori per parenti e amici ad un loro indagato. C’è di tutto nell’indagine della Procura della Repubblica di Catania, che al momento ha archiviato la posizione di alcuni alti magistrati siciliani.

Apartire dal procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, all’epoca dei fatti procuratore generale di Caltanissetta, del suo sostituto Sergio Lari, all’epoca procuratore nella città del Vallone, del sostituto Pg di Palermo Domenico Gozzo, già aggiunto a Caltanissetta, del procuratore aggiunto di Roma Lucia Lotti, ex procuratore a Gela, ed altri magistrati meno noti al grande pubblico.

La vicenda nasce dalla perquisizione ordinata dalla Procura di Caltanissetta a carico di Antonello Montante, potente presidente di Confindustria Sicilia, presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta, membro dell’Agenzia nazionale per il sequestro e la confisca dei beni delle mafie.

Montante è attualmente indagato a Caltanissetta per concorso esterno a Cosa nostra essendo stato chiamato in causa da ben cinque collaboratori di giustizia. Come rivelato ieri dal Corriere della Sera, nel suo pc sono state ritrovate delle “schede” a carico di magistrati che, nel periodo 2010- 2013, prestavano appunto servizio a Caltanissetta. Praticamente dei “promemoria” su figli, nipoti e amici delle toghe oggetto di “premure” per un lavoro, per un concorso pubblico, per una nomina.

Interrogato dai pm catanesi, Montante ha avuto un improvviso “vuoto di memoria”, non ricordando nulla della sua meticolosa e puntuale attività di archivista svolta per anni. Un atteggiamento definito dai magistrati catanesi “reticente”. I quali hanno, però, manifestato “stupore per le richieste di aiuto” da parte dei loro colleghi nisseni a Montante.

Il Csm, al quale sono stati trasmessi gli atti, dovrà valutare le loro condotte sotto l’aspetto dell’incompatibilità ambientale. E, se del caso, dovrà trasmettere le carte alla Procura generale della Corte di Cassazione affinché valuti gli aspetti disciplinari. Se la questione dell’incompatibilità ambientale è sostanzialmente superata, visto che la maggior parte delle toghe finite nel pc di Montante non presta più servizio a Caltanissetta, l’aspetto disciplinare è invece terreno molto scivoloso. Anche se non sono stati configurati reati, certamente il fatto che il nome del magistrato che rappresenta l’accusa nel processo d’Appello al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu per aver agevolato la mafia in quanto avrebbero omesso di catturare il boss Bernardo Provenzano, sia messo in relazione ad un soggetto che è accusato di essere legato alla cosca Serradifalco pone più di un interrogativo. L’immagine che esce da questa vicenda non è, certamente, delle più edificanti. La magistratura siciliana e nazionale per anni aveva evidenziato i rischi di delegittimazione contro Montante. I pentiti che lo accusano sono stati a loro volto accusati. Un gioco di specchi in cui è difficile capire a questo punto chi accusa chi. Più volte si è ribadita la necessità di una verifica profonda e radicale di tutto ciò che si definisce “antimafia”. Il “caso Saguto” a Palermo insegna. Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane.