«E’ il momento di uscire dallo spogliatoio e di passarci un po’ di più la palla». Sandro Gozi, deputato del Partito Democratico e sottosegretario del governo Renzi, immagina il futuro del suo partito, aprendo anche alle esperienze di «chi la sinistra l’ha fatta vincere», come Giuliano Pisapia.

Onorevole, la direzione di domenica ha scoperto qualche nervo per il Pd. Proviamo ad analizzare la fase attuale?

Io credo che abbiamo dato un segnale chiaro: non siamo più tra il primo e il secondo tempo, ma abbiamo iniziato una nuova partita. In questo Matteo Renzi è stato molto esplicito, indicando i punti deboli da cui partire. Un nuovo inizio, a partire da che cosa? Innanzitutto dalla richiesta di sicurezza degli italiani: sicurezza personale ma anche sociale, affrontando i macrotemi del lavoro e dell’immigrazione. Non credo a chi dice che le categorie destra- sinistra siano qualcosa di superato e ritengo che queste istanze siano l’essenza della sinistra. La chiave per ripartire è il dialogo, soprattutto con la fascia di italiani tra i 25 e i 40 anni, affrontando delle loro paure, che sono dopotutto lo specchio dei loro bisogni. Sull’economia, per esempio: durante il governo Renzi abbiamo lavorato 16 ore al giorno ma non abbiamo evidentemente fatto abbastanza. Ora ne lavoreremo 24. La sicurezza è un tema, però, che viene intercettato molto efficacemente dalla destra... Dobbiamo riconoscere anche all’estrema destra come quella di Marine Le Pen di aver ben dimostrato alla gente ci capire le loro paure. Le risposte, però, non possono essere i muri e l’odio per il diverso, soprattutto in materia di immigrazione. Ma se non questa, quale? La forza della destra è stata la chiarezza del suo messaggio. Per questo noi, da sinistra, dobbiamo iniziare a spiegare che non siamo per l’accettazione a prescindere, nè tantomeno possiamo accogliere in modo indiscriminato. Dobbiamo essere molto più esigenti nel pretendere da parte di chi accogliamo il rispetto e il riconoscimento dei nostri valori e delle nostre regole. E’ importante che torni forte il concetto di convivenza, fatta di diritti ma anche di doveri, per tutti a partire da chi chiede di far parte della nostra comunità. Dobbiamo riconnetterci con i cittadini, incanalando la rabbia in un esercizio di confronto.

In direzione Pd, però non c’è stato solo dibattito sui temi. Si sta infiammando di nuovo lo scontro interno? E’ uno scontro molto sterile, che ha avuto in questi mesi anche il demerito di impedire di raccontare al Paese le cose buone realizzate dal governo Renzi. In tutta onestà, non ho mai visto un’opposizione interna così accanita nel distruggere il suo leader democraticamente eletto da milioni di elettori. Io credo siano stati questi attacchi a portare il Pd ad un terribile isolamento.

Speranza è tornato a chiedere se c’è spazio per chi la pensa diversamente. Secondo lei c’è? C’è sempre spazio per confrontarsi sulle nuove idee, ma non per nuovi caminetti di capicorrente.

Congresso, dunque?

Il congresso ci sarà, in autunno.

Indichiamo qualche linea direttrice?

Io credo che il Pd debba puntare a valorizzare il merito e le competenze: ora una delle maggiori difficoltà del partito è la carenza di un gruppo dirigente plurale. Noi dovremo impegnarci per crearne uno, basando la scelta su autorevolezza e lealtà politica. Il Pd deve fondarsi su un’alleanza tra merito e bisogno: dovremo essere più coerenti nel valorizzare il merito e più attenti ai bisogni. Entrambi principi che non si realizzano con il manuale Cencelli nè con le correnti.

E anche per superare quell’isolamento di cui diceva?

Il Partito Democratico è troppo chiuso, non riesce ad allargare il campo e ha perso in capacità di dialogo con le associazioni e la società civile. Da questo isolamento, però, bisogna riuscire a venire fuori. Per dirlo in metafora, dobbiamo uscire dagli spogliatoi e cominciare a passarci di più la palla.

Lei ha partecipato all’incontro di Bologna, organizzato da Giuliano Pisapia. E’ a questo che pensa, per uscire dall’isolamento? Io credo che vada ricostruito un campo aperto e ampio di centrosinistra, ascoltando anche chi questa sinistra l’ha fatta vincere, come Giuliano Pisapia. Noi di “Campo democratico” diciamo e proponiamo con generosità queste cose da anni. Ora c’è necessità e spazio politico per realizzarle.

Che clima si respirava all’evento?

C’era la volontà di aprire una nuova fase politica, in cui valorizzare le cose che ci uniscono invece che sottolineare quelle che ci dividono.

Siamo davanti all’embrione di un nuovo Ulivo? Lo spirito dell’Ulivo c’è, ma siamo nel 2017 e servono formule nuove. A Bologna si è aperto un processo, che ora è tutto da costruire.

E quindi si torna a pensare con una logica di coalizione, accantonando la “vocazione maggioritaria”?

La vocazione maggioritaria si realizza impegnandosi per costruire un’area di vasto consenso di sinistra, che lavori su un programma di governo che ci consenta di portare un cambiamento per l’Italia. Poi, i modi e le forme in cui la coalizione si concretizzerà dipenderanno anche dalla futura legge elettorale.

Il governo Gentiloni è stato ben accolto in assemblea Pd, ma rimane la solita incognita sui tempi. Possiamo fare qualche ipotesi?

Matteo Renzi ha tolto scuse a chiunque pensi di vivacchiare con la scusa della legge elettorale: il Mattarellum adesso è sul tavolo e nessuno avrà più alibi nel barcamenarsi con un dibattito suicida sulle regole. La roadmap è chiara: legge elettorale, con un governo che si occupi soprattutto di rispondere alle istanze di sicurezza del Paese, e poi voto, quando il Presidente della Repubblica lo riterrà appropriato.