LA BOMBA ALLA CHIESA COPTA E LE ACCUSE AL PRESIDENTE- GENERALE AL- SISI

Venticinque morti, una cinquantina di feriti e un Paese ripiombato negli incubi peggiori dell’odio interreligioso: ecco il risultato dell’attentato di domenica mattina alla cattedrale copta de Il Cairo. Ieri, primo dei tre giorni di lutto nazionale, il presidente Abdelfatah al Sisi si è affrettato a individuare il colpevole: un ragazzo di 22 anni che si sarebbe fatto esplodere nella cappella adiacente alla cattedrale copto- ortodossa di San Marco, nel quartiere di al Abasiya, cuore delle istituzioni religiose de Il Cairo. Qui vive Pope Tawadros II, il “ papa” dei copti ortodossi e qui il clero si riunisce per gli appuntamenti importanti. L’attentato ha interrotto la messa di domenica scorsa, giorno di festa anche per i musulmani, in quanto vigilia della nascita del Profeta Maometto. Secondo quanto riferito da al Sisi « il corpo di Mahmoud Shafiq Mohamed Mostafa ( il presunto attentatore, Ndr) è stato ritrovato sul luogo dell’esplosione e tre uomini e una donna sono stati arrestati come complici » . Ma le parole di al Sisi - che ha anche annunciato che i familiari delle vittime riceveranno 100mila sterline egiziane ( circa 5mila euro), una pensione speciale e sanità e istruzione gratuite - non bastano a calmare la comunità copta. Subito dopo l’esplosione centinaia di cristiani si sono radunati in piazza per chiedere al presidente e al governo sicurezza e protezione.

L’attentato di domenica, che non ha ancora rivendicazione e che è stato condannato dall’università religiosa di al Azhar, massima autorità del mondo sunnita, ha allontanato ancora di più i copti da al Sisi. La comunità copta, che conta su una decina di milioni di egiziani nonostante la diaspora degli ultimi anni, rappresenta all’incirca il 10% della popolazione ed è stata da subito uno dei principali alleati di al Sisi. Era il 2013 quando, dopo un anno di violenze a guida dei Fratelli Musulmani di Muhammed Mursi, la chiesa copta ha appoggiato il golpe dell’esercito che ha portato alla presidenza il generale al Sisi. Il ritorno di un presidente militare sembrava la soluzione migliore al problema delle violenze settarie dell’Alto Egitto, la regione meridionale, agricola, priva di infrastrutture e molto povera. I salafiti e i più fondamentalisti fra i musulmani di Minya, Asswan, Luxor bruciavano chiese, attaccavano villaggi e costringevano le donne cristiane a matrimoni forzati. Era il 2012 quando Joseph ( il nome è di fantasia, Ndr) di Asswan raccontava che « mia moglie e mia figlia non possono più uscire da sole, perché molte delle nostre donne non sono più rientrate a casa » . Una situazione che nella regione di Minya non è cambiata: a inizio dicembre violenti scontri si sono accesi fra il villaggio copto di Nazlet Ebeid e il vicino musulmano di el Hawarta, perché un cristiano voleva costruire una casa sul terreno di sua proprietà ma “ troppo vicino” ai musulmani. Cinque persone sono morte per questo. Stessa storia nel villaggio di al Badraman, dove la relazione fra una donna musulmana e un uomo copto ha scatenato le ire delle rispettive comunità: una chiesa è stata bruciata e un musulmano è stato ucciso. Anche per questo sono sempre di più i copti in disaccordo con l’alleanza fra Pope Tawadros e al Sisi, nonostante il nuovo presidente abbia stanziato fondi per la ricostruzione di chiese e villaggi copti e la presenza di ben 36 cristiani fra i 596 parlamentari. Secondo la United States Commission on International Religious Freedom, il governo e la polizia egiziana « non prevengono i crimini contro i cristiani e non investigano quando questi succedono, garantendo l’impunità ai responsabili » . Addirittura ci sono casi di copti iscritti nelle file del partito salafita al Nour, a dimostrazione di come lo scontento e la rabbia siano indirizzati non solo verso l’estremismo islamico ma anche contro la classe dirigente.

La caduta di Mubarak iniziò con l’attentato alla chiesa dei Santi di Alessandria d’Egitto la notte di Capodanno del 2011, quando morirono 21 cristiani. Anche alla luce di questo precedente al Sisi dovrebbe tenere bene a mente l’importanza dell’alleanza con i copti: « La comunità cristiana è parte integrante dell’Egitto e di tutto il Medio Oriente. Se fossero costretti ad abbandonare le loro terre sarebbe una grave perdita per tutti » ammoniva solo una settimana fa al Med di Roma Naguib Sawiris, presidente del colosso delle telecomunicazioni Orascom, megamilionario e copto egiziano politicamente molto attivo per la sua comunità.