Nel florilegio di ritratti che ieri spuntavano un po’ ovunque sui giornali italiani è stato considerato un elemento quasi secondario, da citare di sfuggita, piazzato tra un ricordo degli augusti antenati di aristocrazia pontificia, i conti Gentiloni Silveri, e quello dei più recenti sodali di sangue verde, primo fra tutti il vero padre nobile, Francesco Rutelli. Invece il particolare non è affatto insignificante: Paolo Gentiloni è il primo 'ragazzo di Movimento' che arriva a palazzo Chigi. Ritrovare gli imberbi rivoluzionari degli anni ‘ 70 nelle postazioni chiave di quel potere che ai bei tempi volevano sovvertire non è certo una novità. Però non era mai successo che un politico con alle spalle una lunga e non casuale militanza nella sinistra rivoluzionaria arrivasse sulla cima del Palazzo. Non è detto che l’incresciosa biografia non finisca in qualche modo per influire sul suo futuro operato. Le idee politiche cambiano, ma le educazioni sentimentali restano.

Oddio, già in quegli anni incendiari il conte poteva sfoderare un certo moderatismo, almeno per i criteri dell’epoca. Classe 1954, nei primi ‘ 70 era un classico studente medio romano di ottimi natali. A dispetto dell’età, nel Movimento i medi erano allora i peggio assatanati, ma Gentiloni, pur impegnato fino alla cima dei capelli, militava nelle aree all’atto pratico meno radicali. Il Movimento studentesco, poi il Movimento lavoratori per il socialismo: maoisti o quasi ma nella geografia estremista di quei tempi stavano ai tosti di Potere operaio e Lotta continua come la Margherita ai nostalgici del Pci di fine del millennio. Infine il Pdup, che in fondo è stato il solo tentativo compiuto, e compiutamente fallito, di dare ai movimenti del decennio rosso un classico sbocco politico- parlamentare. Il 17 febbraio 1977, quando Lama fu cacciato dall’Università di Roma, Gentiloni c’era, però senza bastone e lontano dal gruppo che diede l’assalto al palco dell’invadente segretario della Cgil. Non è un mistero, del resto, che se c’è una data che per la nuova sinistra di allora fa da spartiacque è quella: alcuni se la ricordano ancora come il giorno più bello, per altri, tra cui i dirigenti del Pdup come l’attuale premier, fu una tragedia. All’inizio degli anni ‘ 70 estremisti e rivoluzionari, almeno alla luce dei criteri attuali, lo erano un po’ tutti: persino Bobo Maroni si è fatto le sue brave manifestazioni. Ma l’impegno di Gentiloni è stato ben più serio, non circoscritto nel noto decennio. Per quattro anni dal 1980 al 1984 ha scritto sul periodico diretto Luciana Castellina “Pace & guerra”, il più attento a quelli che allora erano i nuovi movimenti, i pacifisti e gli ecologisti. Anche l’adesione ai Verdi risale all’epoca in cui, sull’onda tedesca, i fratellini italiani dei Grunen sembravano destinati a dare una specie di sbocco politico alternativo a un movimentismo ancora diffuso.

Di questo non episodico passato resterà qualcosa a palazzo Chigi? Forse sì. Se non altro nei rapporti con il resto del mondo Gentiloni userà modi diversi da quelli insopportabili del Cesaretto di Rignano. Con chi lo ha incontrato dopo l’incarico, il nuovo premier è stato chiaro: «Il segretario resta Renzi», ha sottolineato con tutti. «Ma il metodo - ha aggiunto - sarà molto distante dal suo». E’ un’affermazione più eloquente di quanto appaia. Gentiloni sa che a dettare la linea resterà Renzi, né al momento potrebbe essere altrimenti, ma rispetto al bonapartismo degli ultimi 3 anni è deciso a cambiare le forme. Le quali, tanto più nella politica fatta quasi solo d’apparenza di questa mesta fase storica, rischia forte di diventare anche sostanza.

Ci riserverà sorprese il presidente del consiglio che un tempo aveva in tasca la tessera del partito di Lucio Magri e Luciana Castellina? Entrato a palazzo Chigi dalla porta di servizio e quasi per caso si adatterà al ruolo oppure, come parecchi prima di lui, si emanciperà rapidamente? In parte sarà senza dubbio così. E’ nell’ordine delle cose, trattandosi di un governo destinato non solo a durare più dello spazio di un sospiro ma anche a misurarsi con faccende certamente serie e forse drammatiche. Quanta sovranità recupererà Gentiloni, però, non dipende da lui ma dal Pd. L’uomo è troppo prudente e attento per lanciarsi all’arrembaggio. Ma se il Pd si stancherà di essere un partito di sudditi e se tenterà di trasformare l’impero di Renzi in una monarchia costituzionale si può scommettere che Gentiloni, pur non essendo stato nella Dc un solo giorno in vita sua, sarà tanto democristiano da cogliere al volo l’occasione.

PAOLO DELGATO