Il dubbio è virtù laica per eccellenza. Laica, non laicista. Il confine è sottile e netto allo stesso tempo, perché ci vuole davvero un nonnulla per diventare intolleranti in nome della tolleranza. Prendete il caso di Norberto Bobbio e dei bobbiani: del maestro e di tanti suoi allievi più o meno diretti, da Gustavo Zagrebelsky a Ezio Mauro per intenderci. Bobbio, pur con tutti i limiti di uomo del suo tempo, è stato uomo del dubbio, che, se non ha sempre esercitato, ha spesso teorizzato in modo magistrale. I secondi, al contrario, uomini dalle certezze granitiche, hanno contribuito a creare quel clima plumbeo e soffocante che aleggia ancora oggi su certa cultura torinese fattasi nazionale. Quel mainstream che per tanti degli ultimi anni ha dato il tono a quella sinistra antigarantista e forcaiola che ben conosciamo e abbiamo combattuto.Come è potuto accadere questo non è difficile da capire, sol che si pensi al fatto che il dubbio può essere ritenuto una concezione soggettiva e momentanea, superabile e da superare, o al contrario la condizione oggettiva in cui noi, essere finiti e fallibili, viviamo. Nella storia del pensiero questi due diversi modi di intendere la scepsi si alternano e non si compongono: il dubbio metodologico anche più radicale, come è quello di cui agli albori della modernità si fa promotore Cartesio, può essere visto semplicemente come preliminare alla conquista di una verità ancora più certa di quelle del passato, forte della sua stessa evidenza. Per Cartesio questa verità è quella dell’autocoscienza, dell’uomo che dubitando di tutto, anche di questo mondo che gli scorre davanti e in cui vive, da cui nemmeno può separarsi, non perciò può dubitare di sé stesso nel mentre si pensa. È il cogito ergo sum, la base su cui Cartesio intende costruire un edificio del sapere molto più stabile e solido di quello del passato, su cui davvero più non sarà possibile dubitare. Il dubbio relativo è qui quello che investe la vecchia cultura, ma è funzionale alla volontà di instaurarne una nuova ancora più salda e stabile della precedente. La nuova scienza-tecnica, che prende forma nei laboratori dei Galilei e dei Newton, ne sarà il modello. E il pensiero della modernità si affermerà come diverso e simile a quello del passato: diverso negli assunti, simile nell’idea di trovare una conoscenza universale e necessaria che travalichi il mondo empirico o fisico (metafisica).Sarà David Hume, col suo radicale empirismo, a smontare la costruzione cartesiana della modernità: a mostrare come siano palafitte conficcate nell’acqua e non basi di cemento armato (uso un’immagine di Karl Popper) quelle su cui è poggiata tutta la nostra conoscenza, anche quella scientifica. La verità non è altro, per Hume, che una generalizzazione empirica: non ha la cogenza, necessità e indubitabilità di ciò che è vero e vero non può non essere. In base a quale necessità posso io affermare che, essendo per mille e mille volte sorto il sole al far della mattina dopo la buia notte, questo accadrà anche domani? Non potrebbe essere che proprio domani questo non si verifichi? Chi mi dà garanzie sul futuro? Il dubbio qui si fa radicale, oggettivo: permea la struttura stessa della realtà. Kant dirà che Hume, facendolo ragionare su queste cose, lo aveva risvegliato dal "sonno dogmatico della ragione". La ragione kantiana si fa quindi più accorta, avveduta, raffinata: ritrova la "universalità e necessità" delle nostre conoscenze nelle nostre stesse strutture mentali, nel mondo in cui viviamo e in cui solamente possiamo vivere, al di qua delle colonne d’Ercole della "cosa in sé". Eppure, quella di Kant resta una ragione dogmatica: è un io regolatore ed escludente a suo modo, come è quello dell’illuminismo classico. E dei laicisti allievi di Bobbio ma contro cui Bobbio si scagliava anche se è proprio in Kant, nella sua terza Critica, dove si parla del bello e dell’estetica, che matura l’idea di un giudizio riflettente: un giudizio, che è far forma alla realtà attraverso il pensiero, che si muove dal basso verso l’alto, dall’imprevedibilità del reale alla possibile ma sempre imperfetta e transitoria regolazione mentale di esso. Imperfetta, perché la perfezione non è di questo mondo, perché la verità della realtà, anche in una logica rigorosamente immanentistica, sfugge alla singola mente umana.Imprevedibile, perché la storia riserva sempre nuove sorprese fondandosi sulla libertà umana. Sul futuro, e qui ritorna Hume, l’illuminista scozzese che a buon ragione può essere considerato padre del liberalismo, certezza non è possibile. E il dubbio, ovvero un sano scetticismo, deve avvolgere tutti coloro che si fanno profeti, fosse pure in nome della scienza.Le ideologie della modernità, il marxismo prima di ogni altra, hanno fatto leva proprio su una ragione che non ha fatto i conti con l’imperfezione e la libertà umane: una ragione dogmatica e determinante, aliena da dubbi di sorta. Le democrazie novecentesche non lasciavano spazio al dubbio, non tolleravano che qualcuno potesse mettere in discussione le verità conclamate dal regime o dal partito o le magnifiche e progressive sorti che aspettavano l’umanità nel futuro. Ma il fatto più strano di tutti è che proprio gli uomini di cultura, gli intellettuali, coloro che per professione avrebbero dovuto essere più adusi a manovrare i concetti, hanno inveito contro la prosaicità del liberalismo, contro la sua opera di depoliticizzazione e desacralizzazione della sfera umana. Gli intellettuali novecenteschi sono stati sempre per lo più pronti a far da supporto al Principe: per convinzione e attaccamento al sacro perduto, qualche volta; per opportunismo e tornaconto personale, il più delle volte. Un interesse privato che si è manifestato sia nella volontà di non aver fastidi dal potere, sia nella consapevolezza che farsi "consiglieri del Principe" porta sempre ricompense e onori. Se sul futuro la scienza non ha nulla dire, se non può che richiamare al dubbio, il potere che potrà mai farsene degli uomini di cultura, siano essi i filosofi del tempo andato o quei nuovi servi del potere che rispondono al nome di economisti, sociologi, politologi? A qual pro dovrebbe il potere comprare le loro consulenze? Il dubbio laicizza non solo la vita, ma anche il ruolo dell’intellettuale. E questo è difficile da capire, o da gettar giù. Per gli interessati, ma anche per la gente qualunque, voglio per tutti coloro, e sono in tanti, che si aspettano dai presunti "sapienti", conforti e rassicurazioni vitali.E torniamo così a Bobbio, il quale, nel 1951, cioè in piena guerra fredda, con il montare dell’ideologia marxista e del totalitarismo sovietico, così scrive: "Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze. Di certezze -rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma- sono piene, regurgitanti, le cronache della pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati". Il fatto è che l’esercizio costante del dubbio, il dubitare su tutto e persino su sé stessi, non è semplicemente una opzione di vita: risponde, più radicalmente, ad un’idea dell’uomo e della vita più rispettosa della realtà delle cose e dell’esistenza degli altri, e quindi eticamente superiore ad ogni altra. Il dubbio non fa altro che prendere atto della nostra doppia limitatezza: intellettuale e morale, teorica e pratica. Una limitatezza che, proprio perché umana, non è un deficit ma un surplus dal nostro punto di vista, cioè dalla prospettiva della concretezza. La limitatezza intellettuale coincide col fatto che le conoscenze nel nostro mondo sono disperse: ognuno ne possiede solo la piccola parte che può abbracciare e nessuno che non sia un Dio può pretendere ad una visione totale, o "olistica", sul reale. La verità non può essere di nessuno di noi in modo completo, ma va ricercata intesa nella cooperazione con gli altri e intesa nel suo carattere sempre imperfetto e provvisorio. Dobbiamo perciò confermare sempre il dubbio sulle nostre credenze, anche le più salde: tenere aperta la porta a chi ci può far vedere le cose da una diversa prospettiva e farci ricredere, almeno in parte. La verità, d’altronde, non è il frutto di un possesso o di una conquista: è appunto il processo di questa ricerca comune che deve vederci sempre impegnati e mai acquietarci. D’altronde, non esiste nemmeno una verità pratica o morale generale, abbracciabile con un solo sguardo. Da qui il secondo nostro limite, quello che ci porta a diffidare di chi vuole costruire il bene per noi elaborando progetti più o meno sofisticati di "ingegneria sociale".Il bene o la morale, come l’amore, si esercita nei rapporti interpersonali, non nell’astrattezza di politiche e giurisdizioni studiate a tavolino. “Nella mia vita –scriveva Hannah Arendt nel 1963 al suo amico Herman Broch- non ho mai “amato” nessun popolo o collettività, né il popolo tedesco, né quello francese, né quello americano, né la classe operaia, né nulla di questo genere. In effetti io amo solo i miei amici e la sola specie d’amore che conosco e in cui credo è l’amore per le persone”. Sacrosanto è esercitare il dubbio, pratico questa volta, su chi vuole offrirci sicurezze a buon mercato, su chi dice di fare politica "per il vostro bene" o per realizzare "un mondo migliore" in astratto, su chi dice di esercitare la giustizia non per punire un reato particolare ma per aumentare il tasso di moralità o la "salute pubblica". È sacrosanto esercitare la scepsi verso tutti coloro che vogliono deresponsabilizzarci: toglierci il peso di valutare e decidere caso per caso, con accortezza e umanità, il da farsi. Consapevoli, ad esempio, che i progetti umani mai si sono realizzati scientemente, in maniera intenzionale, ma sono stati sempre il frutto di adattamenti e dubbi sulle pretese della ragione astratta o dogmatica. Ciò che deve farci dubitare dei progetti di moralizzazione e benessere è la consapevolezza del fallibilismo umano, che lungi dall’essere un limite è la molla che ci spinge a migliorarci e a superare, ma in modo sempre solo imperfetta e provvisorio, i nostri dubbi. Il fatto e chi dubita non è affatto un irresoluto. È uno che decide e si prende le proprie responsabilità, ma non si acquieta mai nella verità raggiunta e certificata dal potere. Cerca la verità, ma per superarla sempre di nuovo e con nuovi dubbi. Un essere compatto e pieno, una vita non percorsa dai dubbi, sarebbe certo uniforme e omogenea ma la sua sarebbe la compattezza della morte non la bellezza della vita.