Nell’epoca degli outsider e della crisi senza fine delle classi dirigenti, qualsiasi persona di successo può aspirare a una poltrona politica prestigiosa. È accaduto a Silvio Berlusconi, è accaduto a Donald Trump, perché no a Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook? Una “ pazza idea” che stuzzica da tempo la mente del giovane imprenditore, il quale pensa seriamente di scendere in campo come emerge dalle carte giudiziarie di un processo che lo ha visto contrapposto a un gruppo di azionisti di minoranza. Una class- action stata depositata a fine aprile, dopo che Zuckerberg aveva proposto e ottenuto una riorganizzazione per diluire il potere di voto degli azionisti, blindando a detta dei ricorrenti « il controllo eterno » della società. In base alla sua riorganizzazione, così come si può leggere nelle carte, Zuckeberg potrà prendersi due anni sabbatici per « una posizione nel governo o un incarico » politico, senza perdere il controllo di Facebook.

I documenti sono stati desecretati solo nei giorni scorsi ma si riferiscono ai piani messi a punto dal numero uno di Paolo Alto a inizio anno. Studiando le carte processuali, il Guardian ha ricostruito gli scambi via sms tra Zuckerberg e due componenti del board, che parlano di un eventuale incarico governativo di Zuckerberg e di come presentare la proposta agli azionisti senza che questi percepiscano un minore impegno del Ceo. « La questione più grande » , gli scriveva a marzo uno dei principali azionisti di Facebook, il venture capitalist, Marc Andreessen, è « come definire questo servizio al governo senza terrorizzare gli azionisti ( sul fatto) che tu ti stia defilando » . Sesta persona più ricca al mondo e molto interessato alla filantropia, Zuckerberg finora ha sempre cercato di evitare la politica.

Uno dei membri del board di Facebook, Peter Thiel, ha sostenuto Donald Trump, e Facebook di recente è stato accusato di essere una delle piattaforme di disinformazione e circolazione di notizie false che avrebbero contribuito al successo del candidato repubblicano, un paradosso per l’imprenditore miliardario che non ha mai nascosto le sue simpatie democratiche.