Le sorti della crisi di governo e del Paese sono più nelle mani della direzione nazionale del Pd che nel voto di fiducia sulla legge di stabilità dopo il quale, quasi contestualmente, un Matteo Renzi dimissionario per ora solo in tv si presenterà davanti al presidente della Repubblica per lasciare l’incarico. L’accelerazione verso il voto che sembra essere la via preferita dal premier potrebbe trovare un ostacolo all’interno del partito, tra i non pochi prudenti che temono l’andata alle urne nei primi mesi del 2017 come la miglior via - un’autostrada, praticamente - per consegnare definitivamente il Paese a Grillo.

Il punto è che, sotto il profilo squisitamente tecnico e non dell’attenzione politica alla stabilità, massima preoccupazione da sempre di ogni Capo dello Stato, a votare ci si potrebbe andare benissimo con le leggi vigenti: il proporzionale puro per il Senato e l’Ita-licum per la Camera. Nel primo caso si tratta di quello che politici e giornalisti chiamano ' il Consultellum', ovvero le modifiche che al Porcellum operò la Consulta, correggendone l’incostituzionalità. Nel secondo caso si tratta della legge vigente per la Camera, perfettamente costituzionale perchè per quanto squilibrata possa essere la Consulta non l’ha ancora neppure esaminata, e dunque tantomeno dichiarata inconstituzionale. Finché non lo fa ( e avverrà il 24 gennaio), l’Italicum è perfettamente operativo. Quando la Corte lo avrà per le mani, lo correggerà: potrebbe - assai verosimilmente - impedire che vi sia lo stesso capolista acchiappa- voti un po’ ovunque, o perlomeno impedire che poi sia lui stesso a scegliersi attraverso quale collegio approdare in Parlamento ( il che equivarrebbe anche a poter scegliere chi può e chi non può arrivare ai banchi della Camera). Potrebbe eliminare il ballottaggio o renderlo un vero secondo turno. Potrebbe calibrare soglia di sbarramento e premio di maggioranza in maniera tale che non sia possibile accaparrarsi una inossidabile maggioranza col 25 per cento dei voti. E così via.

Ma quello che la Corte non può fare è proprio quel che invece un bel pezzo del Pd vorrebbe: buttare l’Ita-licum nel cestino e aprire le porte al proporzionale puro. Come sognano quegli esponenti del Pd ( basta vedere i tweet di Giorgio Tonini) che evidentemente son consapevoli che Renzi non ha più l’appeal di una volta, il 40 per cento dei voti è un’Araba Fenice, e il proporzionale - sic- almeno terrebbe il Pd a centrocampo. « Ci penserà la Corte a far saltare l’Italicum. Voteremo con la proporzionale » cinguettava non a caso il 5 dicembre Tonini. Il guaio - se solo i politici conoscessero le istituzioni e il loro funzionamento - è che la Consulta non può ' cancellare la legge', perché non può lasciare vuoti legislativi: la Consulta ' opera' sulle leggi, e le sue sentenze sono autoapplicative, cioè immediatamente operative. E dunque è assai balzana l’idea di una cancellazione dell’Italicum che faccia sopravvivere la legge precedente, cioè il proporzionale puro che c’era nel Consultellum.

Come che sia, ieri la Corte ha fatto sapere che deciderà appunto il 24 di gennaio: avrebbe potuto mettere in agenda l’esame dell’Italicum anche nell’altra data di quello stesso mese in cui è all’opera, il 10. Evidentemente, leggendo la decisione sul filo che normalmente collega i due Palazzi del Colle più alto, si accelera ma non c’è fretta.

Nella politica, e certamente per il Colle, resta infatti un problema stringente: andare al voto con l’Italicum per la Camera, e il proporzionale puro per il Senato, renderebbe il risultato politico perfettamente traballante. Anche tenendo l’Italicum rivisto dalla Consulta, servirebbe e servirà insomma comunque un nuovo meccanismo per eleggere i senatori, forse - azzardiamo- un Italicum aggiustato su base regionale, perché la Costituzione prevede quel genere di ' diversità' nelle leggi elettorali dei due rami del Parlamento.

Servirà del tempo prima di andare alle elezioni, insomma. Se solo la direzione del Pd riuscisse a farlo capire a Renzi...