«Anche De Gasperi e Togliatti votarono insieme per la Costituzione ma poi ognuno aveva la sua battaglia politica. Così è per il fronte del No » . Paolo Cirino Pomicino, deputato ed ex ministro democristiano che ha solcato tutta la Prima Repubblica, nella partita referendaria è stato uno degli alfieri del No, e gli esiti gli hanno dato ragione. La sua analisi post- voto, però, è prudente. A partire dall’eterogenea compagine vittoriosa e dal futuro della legislatura.

Proviamo a fare un bilancio a bocce ferme, dopo questi mesi di serrata campagna elettorale. E’ soddisfatto?

Quella di domenica è stata una grande battaglia, vinta da tutte le componenti di un fronte costituente.

Quello che lei chiama fronte costituente, Renzi lo aveva definito con l’appellativo poco lusinghiero di “ accozzaglia”...

Quella di Renzi è una definizione dovuta alla giovinezza. Quello del No è stato un fronte costituzionale che, per sua natura, è eterogeneo e non politico.

Un fronte, quindi, destinato a dividere presto i suoi destini?

Ma certo, come De Gasperi e Togliatti votarono insieme la Costituzione ma poi ebbero destini politici da avversari, così anche il fronte del No si dividerà. Mutandis mutandis, ogni componente che ha fatto campagna per il No avrà la propria battaglia politica da combattere.

Guardando al risultato, è possibile parlare di un ritorno alla fedeltà di partito da parte degli elettori?

Sicuramente gli esiti del referendum hanno dimostrato che, nel mezzo di un periodo che tende ad essere piuttosto anarchico, la gente torna a cercare riferimenti politici partitici. Il processo di ritorno a questo tipo di politica, però, è solo agli inizi.

In che senso?

Io credo che dopo questo referendum i movimenti politici, alcuni dei quali oggi sono ancora solo schegge di partiti, dovranno trovare in sè le energie per ricomporsi in modo strutturato. In questo senso il processo di ritorno alla politica partitica è agli inizi.

Guardando al futuro, che cosa vede nel domani della nostra Repubblica?

Innanzitutto un futuro con un governo garantito dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella. La legislatura ha ancora 15 mesi davanti prima della sua naturale scadenza ed è necessario sia il più stabile possibile. I prossimi mesi saranno intensi, a partire dagli appuntamenti internazionali del G7, del 60° anniversario dei Patti di Roma e del turno di presidenza del consiglio di sicurezza dell’Onu.

E sul fronte interno quali sono le partite aperte?

Il nostro tallone d’Achille è un sistema bancario incancrenito. Abbiamo un problema sul fronte istituzionale ma soprattutto scontiamo un problema di ordine economico.

In questo senso, che giudizio dà al governo Renzi?

I punti deboli della nostra economia sono radicati da un lato nel sistema del credito, dall’altro nella bassa crescita del Paese rispetto ai nostri competitor.

Difficoltà queste, mi faccia dire, dovute anche a una certa inadeguatezza dell’attuale ministro del Tesoro.

E dunque si deve tornare subito alle urne?

A mio modo di vedere, votare sei mesi prima o sei mesi dopo non cambia nulla. Il punto è farci trovare pronti e con un governo stabile agli appuntamenti che ci aspettano.

Provando a interrogarci sugli attori politici, mai come in questa campagna referenda-l ria il fronte della sinistra è apparso diviso. Rimane ancora un’alternativa credibile?

Le giovanili sciabolate di Matteo Renzi lasciano una rottura profonda nella sinistra. Questa ferita, però, va sanata dentro il Partito Democratico, che è inevitabilmente il futuro del centro- sinistra e non potrebbe essere altrimenti.

Accanto al Partito Democratico, si allunga sempre di più l’ombra del Movimento 5 Stelle, che sembra essere l’unica altra forza strutturata nel sistema...

Il Movimento 5 Stelle è un soggetto sicuramente importante nel panorama politico, perché drena un disagio presente nella popolazione. Tra questo ad avere credibilità per diventare forza di governo, però, passa molta strada. O il Movimento colma questo gap tutto interno a se stesso, oppure ne prevedo la scomparsa al più entro un paio d’anni.