«Oggi il governo è un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. La riforma punta a ristabilire un equilibrio». Stefano Ceccanti, costituzionalista ed ex senatore del Partito Democratico, è attivamente schierato sul fronte del Sì ed ha girato l'Italia per spiegare le ragioni per cui la Costituzione va aggiornata.Professore, a che cosa punta la riforma costituzionale?L'obiettivo è quello di restituire ai cittadini e al Parlamento la possibilità di scegliere con certezza la maggioranza al governo.E come si ottiene questo risultato?Innanzitutto con una camera sola che vota la fiducia, affiancata da un sistema elettorale maggioritario di cui l'Italicum è una delle possibili soluzioni, anche se non la sola.Questo sarebbe un orizzonte impossibile senza toccare il testo costituzionale?Guardiamo alla storia recente e il caso di Pierluigi Bersani, vincitore ma impossibilitato a governare. Questo è ciò che si ottiene quando ci sono due camere diverse ma con le stesse prerogative e per di più elette da due elettorati diversi, visto che per il Senato votano solo gli ultraventicinquenni. Modificare questo assetto istituzionale è l'unico modo per non ripiombare nel caos. Votare no il 4 dicembre significa accettare il rischio di avere, in futuro, un nuovo Parlamento senza maggioranza oppure con maggioranze eterogenee.Ed è il Senato a creare questa situazione di instabilità?Io credo di sì. Il fatto che, con la vittoria del sì, una sola camera voterà la fiducia è un elemento di equilibrio per il sistema. Inoltre il Senato ha senso di esistere non in quanto una sorta di Camera-bis ma, come ben delinea la riforma costituzionale, in qualità di camera che rappresenta le Regioni. I consiglieri che lo compongono sono legittimati e rappresentativi dei territori e fungeranno da collante istituzionale, posto che gli elenchi di materie di competenza statale e regionale saranno sì più chiari, ma comunque non basteranno a eliminare i conflitti.Una delle critiche mosse alla parte di riforma che tocca il Senato, però, è il fatto che non sia più un'organo elettivo e che quindi si tolga ai cittadini il diritto di eleggere i propri rappresentanti.Attenzione: il massimo potere dei cittadini dovrebbe essere quello di potersi scegliere in modo chiaro una maggioranza di governo. Inoltre la legge elettorale del futuro Senato non è ancora stata approvata.Si riferisce alla cosiddetta "Bozza Chiti"?La Bozza Chiti è una delle possibili soluzioni per dare attuazione alla riforma del Senato. Prevede che gli elettori che eleggono i consigli regionali votino con due schede, una per i consiglieri e una per quelli di loro che vogliono indicare come membri del Senato. Si tratta di un disegno di legge legittimo e che, astrattamente, risponde al modello posto dai principi costituzionali del nuovo articolo 57.Uno dei cavalli di battaglia di chi sostiene il no è il rischio di uno strapotere del governo. Falso?Oggi la situazione è esattamente contraria: il governo è il proverbiale vaso di coccio tra i vasi di ferro. La nostra Costituzione prevede un meccanismo di bilanciamento molto solido, con le prerogative del Presidente della Repubblica, una magistratura indipendente e una Corte Costituzionale. Onestamente non vedo come il meccanismo del voto a data certa possa sbilanciare il tutto in favore del governo.Questo meccanismo, però, non rischia di indebolire l'autonomia del Parlamento?Oggi sia il Parlamento che il governo sono deboli e il loro unico punto di incontro è il meccanismo dei decreti, a cui i parlamentari propongono solo microemendamenti. Questa situazione assolutamente patologica è diventata la norma del nostro procedimento legislativo.E questo si risolve con il meccanismo del voto a data certa?L'obiettivo è quello di ricreare una situazione fisiologica nel rapporto tra istituzioni: il voto a data certa, che consente al governo di calendarizzare i provvedimenti che considera necessari ad attuare il suo programma, prevede che l'iter di approvazione del disegno di legge sia quello ordinario, garantendo una maggiore facilità anche nel proporre emendamenti.Provando ad analizzare le ragioni del no, c'è qualche critica che lei considera fondata?Io credo che questa riforma costituzionale abbia un difetto, che il comitato per il no ha evidenziato ma che considera tale per le ragioni sbagliate.A cosa si riferisce?Alla maggioranza dei 3/5 per l'elezione del Presidente della Repubblica, che secondo me è troppo alta. I sostenitori del no, assurdamente, dicono che sia invece troppo bassa, nonostante questa previsione aumenti il quorum previsto dall'attuale testo costituzionale.Tutto qui? Le restanti ragioni del no sono tutte pretestuose?Le considero frutto di una cultura per così dire libresca, di persone che hanno poca conoscenza pratica dei meccanismi istituzionali. A partire dall'assurdità di questo complesso del tiranno sbandierato come uno spauracchio.E poi c'è sempre la quota, non si sa ancora quanto numerosa, di chi voterà per ragioni politiche. A questi cosa dice?Che io consiglio di esprimersi sul merito della riforma. Credo però che ci sia una congiuntura tra voto politico e voto nel merito: chi vota no accetta l'instabilità politica non solo per le potenziali ricadute sul governo ma soprattutto perché, senza questa riforma, alle prossime elezioni si riproporrà il caos degli ultimi anni causato dall'attuale bicameralismo perfetto.Lei è tra quelli che hanno girato di più il Paese, per spiegare questa riforma e le ragioni del sì. Che sensazione ha, al netto dei sondaggi?Alla fine avrò totalizzato quota 145 incontri sul territorio. La mia opinione è che si è partiti da una esplicita sovraesposizione delle ragioni del no, mentre il sì è rimasto più silente e sottorappresentato ma non per questo necessariamente perdente.Dunque è ottimista?Non mi lancio in previsioni. Posso però raccontarle un risultato, per quanto si sia trattato di un esperimento empirico. Ad un evento di confronto tra le ragioni del sì e del no, abbiamo provato a fare un voto a scrutinio segreto e il risultato è stato il 51% per il sì, 37% per il no e il resto astenuti.