Nel giorno in cui Ankara licenzia altri 15mila dipendenti pubblici, il Parlamento europeo si appresta a votare il congelamento delle trattative per l'ingresso della Turchia nell'Unione europea. Turchia ed Europa sembrano due galassie sempre più distanti, soprattutto dopo il golpe, presunto o fallito che sia, del 15 luglio scorso. Il dibattito in corso a Strasburgo è incentrato sulla reazione del governo e del presidente turco Recep Tayyp Erdogan alla sommossa di quella notte, che provocò oltre 200 morti e per cui Erdogan ha da subito incolpato il nemico storico Fethullah Gulen, in esilio volontario negli Stati Uniti. Erdogan ha quindi ordinato l'arresto di oltre 40mila persone fra poliziotti, avvocati, soldati, politici e giornalisti, il licenziamento di 123mila dipendenti pubblici come magistrati e insegnanti, e la chiusura di 375 associazioni. Ieri Erdogan ha anche allungato la sua furia persecutrice oltre i confini della Turchia, emettendo un mandato d'arresto per Salih Muslim, il leader del Pyd, il principale partito curdo siriano che sta amministrando la regione del Rojava, in Siria, dopo l'autonomia da Damasco. E, cosa ancor più grave agli occhi delle istituzioni europee, Ankara non ha affatto eliminato la possibilità di re-introdurre la pena di morte, richiesta fortemente anche dagli alleati del partito nazionalista. «Non possiamo chiudere gli occhi su quello che sta succedendo in Turchia, anche se Ankara è un partner fondamentale nella gestione dei flussi migratori» ha detto ancora ieri la Cancelleria tedesca Angela Merkel al Bundestag. Oltre al percorso di adesione, richiesto dalla Turchia sin dal 1960 ma iniziato "solo" 11 anni fa, in ballo fra Bruxelles e Ankara c'è l'accordo sull'immigrazione raggiunto nel marzo scorso. Secondo quell'intesa la Turchia deve controllare quali e quanti profughi lasciano il suo territorio e accogliere indietro quelli che vengono respinti dall'Europa, in cambio di tre miliardi di euro nel 2016 e 2017 e altri tre miliardi nel 2018. Finora l'Unione europea ha sborsato 677 milioni, mentre la Turchia ospita 2,7 milioni di profughi da Siria, Iraq e Afghanistan. Se oggi Strasburgo dovesse - come sembra - approvare la sospensione del percorso di adesione, la Turchia potrebbe rivalersi su quell'accordo. D'altronde Erdogan non ha perso tempo per sottolineare ancora una volta il suo astio per i confinanti: «L'Europa non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte. Il voto di domani (oggi, ndr) non ci interessa, qualunque sia il risultato» ha detto il presidente. Non è un segreto che l'entusiasmo di Erdogan verso l'Ue sia scemato negli ultimi anni. Le richieste di rispettare di diritti umani come quello di parola o di stampa per meritarsi un posto al tavolo dei grandi lo hanno sempre infastidito. E nonostante il boom economico turco si stia velocemente sgonfiando, i Paesi europei non sono più una garanzia nemmeno dal punto di vista economico, vista la crisi finanziaria e politica che li assedia. Per Erdogan è molto più conveniente guardare a Est, all'Organizzazione di Shangai, un'associazione politica ed economica dei Paesi asiatici, Russia e Cina compresi. La posta in palio è altissima. La deriva della Turchia rischia di trovare compimento in una dittatura di fatto, se Erdogan riuscisse a far passare la riforma costituzionale che ha in mente, che gli garantirebbe poteri illimitati e la possibilità di restare al timone almeno fino al 2024. Unica buona notizia in questo quadro è la decisione di cancellare la proposta di legge che avrebbe offerto agli stupratori e agli uomini che sposano donne minorenni la possibilità di evitare il carcere sposando la vittima. Dopo le migliaia di donne in piazza e le proteste arrivate da tutte le parti, il governo ha deciso di ritirare la legge.