Meno sorridente e patinata, ma più vera. Così è apparsa Hillary Clinton, di cui la storia ha infranto l'american dream, nel primo evento pubblico dopo la disfatta alle elezioni presidenziali dell'8 novembre. «Coming here tonight wasn't the easiest thing for me/ venire qui stasera non è stata una cosa facile per me», sono state le prime parole di Hillary, che ha preso parte al gala per the Children's Defense Fund, la fondazione per cui aveva lavorato da giovane studentessa di legge. Dal palco, con il taillerur blu di ordinanza simile a quello con cui aveva aperto - nell'ormai lontano giugno scorso - la corsa alle primarie democratiche, Hillary è apparsa meno patinata e senza messa in piega, stanca. Nessun trucco, nessun inganno. «Ci sono stati dei momenti, durante la scorsa settimana, nei quali volevo solo rannicchiarmi con un buon libro, insieme ai miei cani, e non uscire più di casa». Un'ammissione di sconfitta, che poi si è trasformata in una chiamata alle armi in perfetto stile Clinton: «So che molti di voi sono dispiaciuti per l'esito di queste elezioni. Lo sono anche io, molto più di quanto riesco ad esprimere. So che non è facile, ma dobbiamo continuare a credere nel nostro Paese, a combattere per i nostri valori e non darci per vinti. Abbiamo bisogno di voi, l'America ha bisogno della vostra energia, della vostra ambizione, del vostro talento».Lontana dai passati clamori della campagna elettorale, via dalle luci dei palazzetti di mezza America nei quali ha raccontato un Paese che si è scoperto essere in minoranza, Hillary ha scelto, per il suo ritorno pubblico, il palco che più la rappresenta: una fondazione che si occupa di minori in difficoltà. E non ha lasciato spazio per i rimpianti politici, ma per quelli personali: «Vorrei poter tornare indietro nel tempo per parlare con mia madre, abbandonata in giovane età, e vorrei dirle, mentre viaggiava da sola su quel treno diretto in California: guardami e ascoltami. Sopravviverai, avrai una famiglia, tre figli e, per quanto sia difficile immaginarlo, tua figlia crescerà e diventerà una senatrice degli Stati Uniti, rappresenterà il nostro paese come Segretario di stato e conquisterà più di 62 milioni di voti nella campagna per le Presidenziali». E chissà se il risultato sarebbe stato diverso, se avesse usato queste stesse parole e questo stesso viso durante la campagna elettorale.In privato, in questa settimana di silenzio stampa e riflettori spenti, Clinton ha stigmatizzato l'atteggiamento dell'Fbi come principale causa del fallimento suo e dei democratici. La decisione di risollevare la controversia dell'Emailgate undici giorni prima del voto avrebbe, infatti, inficiato i suoi sforzi nei giorni cruciali della campagna, impedendole di chiuderla con un messaggio positivo e costringendola a difendersi. Ora che Donald Trump è il 45esimo inquilino della Casa Bianca, però, i democratici iniziano a guardare avanti. Il partito inizia la sua difficile ricostruzione interna, analizzando le ragioni della sconfitta e provando a recuperare i sostenitori travolti dall'ondata conservatrice del tycoon. Obama ha già preallertato la base: da gennaio, quando ultimerà il passaggio di consegne, l'ex presidente riprenderà parte al dibattito interno del partito, per contribuire alla sua riorganizzazione. I due mesi serviranno a tutti per metabolizzare definitivamente la sconfitta e iniziare a pianficare le mosse per il prossimo quadriennio di opposizione. La politica dem, anche se acciaccata, prova dunque a rimettersi in moto e non è chiaro quale sarà il ruolo di Hillary Clinton, che però difficilmente si accontenterà di recitare la parte di illustre sconfitta.