Tra i tanti - meritati e/o decantati - primati sull'Europa (ah! Silicon Valley, ah, l'informatica, il digitale, i social, instagram, la robotica, il cinema, il Grande Romanzo Americano, le medaglie dei Nobel e dell'Olimpiade...) l'America - intesa come Usa - perde invece il confronto con il Vecchio Continente su un terreno molto particolare, la filosofia: un terreno di cui l'Europa - stretta al suo filo rosso greco-cristiano-tedesco - è assai gelosa ed esclusiva.Ottima ed utilissima iniziativa, dunque, quella di mettere assieme una silloge completa ed organica - ma non ponderosa - intesa a dare una panoramica di quel complesso di pensatori e filosofi che vengono raggruppati sotto l'etichetta del pragmatismo (Il pragmatismo. Dalle origini agli sviluppi contemporanei. A cura di Rosa M. Calcaterra, Giovanni Maddalena e Giancarlo Marchetti, pp 355, Carocci editore, 32 euro). Il pragmatismo è, come ci ricorda l'introduzione, «una filosofia specificamente americana, sorta negli anni Settanta dell'Ottocento a Cambridge, Massachussets». E tutti americani sono i filosofi qui presentati, in uno spettro assai ampio in cui sono compresi anche pensatori «che hanno chiaramente fatto riferimento al pragmatismo o ad alcuni temi pragmatisti pur senza aderire all'intero nucleo originario».«Il libro ripara a una grave mancanza nella storiografia filosofica italiana odierna» (cito sempre dall'introduzione). Della filosofia americana sono pochissimi, anche specialisti, in grado di mettere a fuoco un profilo che vada oltre la conoscenza di quella etichetta - appunto - che è l'etichetta del "pragmatismo", e il nome di alcuni pensatori, sopratutto i recenti, da Putnam a Dewey, da Quine a Herbert Mead e Charles Morris, il cui pensiero si è variamente incontrato con quello di filosofi europei; il compito è peraltro difficile, la filosofia americana segue una sua linea di sviluppo molto divaricata rispetto alla tradizione europea, fino a determinare (o a contribuire a determinare) il fossato che divide l'american way of life e i vari heritages etico-politici dei cittadini del Vecchio Continente.Neppure Emerson, il grande patriarca che il critico letterario Harold Bloom considera "la figura centrale" della filosofia americana, ha goduto in Europa di una fama pari ai meriti. Credo invece che non si possa capire La democrazia in America di Tocqueville (1835-1840) se non la si filtra attraverso la (contemporanea) pagina di Emerson. Ma quel suo concetto di democrazia non ha attecchito in Europa e massimamente in Italia... Forse, perché Emerson affonda le radici della sua democrazia nell'humus libero e aperto di una Natura infinita, dinamica, pervasa da una Energia vivente, operante attraverso gli individui: il regno dell'uomo e quello della natura sono manifestazioni del Divino e quindi non c'è opposizione fra naturalità ed eticità per chi sappia riscoprire in sé quell' "anima superiore" ("Over-soul"), che sprona l'essere vivente a superare ogni limite interiore ed esteriore. Da questa coscienza/consapevolezza nasce una "fiducia in se stessi" capace di affermarsi ed affermare la «decostruzione delle apparenti certezze che... alimentano passività e conformismo». Emerson sarebbe dunque un Nietzsche (cui spesso viene paragonato) positivo, non nichilista.La "decostruzione" delle realtà apparenti sarà il nocciolo centrale del pensiero, peraltro multiforme e sfaccettato, elaborato dal "pugno" di "giovanotti" che nei primi anni 70 dell'Ottocento usavano riunirsi a discutere di varia filosofia negli studi di due di loro, Charles Peirce e William James, in quella Cambridge americana che, secondo quanto attribuito a Charles Darwin, «possedeva tante menti brillanti da poter rifornire tutte le università inglesi». Tra le brillanti menti c'erano "uomini di scienza" come Peirce, James e Chauncey Wright, ma anche figure dalla mentalità e cultura giuridica, come il grande Oliver Wendell Holmes, oppure Nicholas St. J. Green, Joseph B. Warner e John Fiske, destinati a belle carriere per lo più come uomini di legge. «Un po' per ironia e un po' per sfida», ricorda lo stesso Peirce, quei ragazzi chiamarono se stessi e il loro gruppo "The Metaphysical Club". In questo coltissimo ambiente «furono partorite le idee principali che connotano l'indirizzo pragmatista», a partire dall'entusiastica attenzione per l'evoluzionismo darwinista, combinato con un utilitarismo anche esso figlio della "lotta per l'esistenza" predicato dal naturalista inglese. L'etica pragmatista nasce insomma dal basso, forse dalla lotta per la sopravvivenza tra le spietatezze del wild, non certo dal formalismo di una precettistica calata dall'alto, da un Dio autoritario e dal Potere che ne deriva. Il numinoso dio dei puritani (i Pilgrim Fathers che avevano lasciato l'Inghilterra per sottrarsi ad arroganti Poteri religiosi o laici) può sostenere la ricerca del bene, e sarà l'American way of life, oppure soccombere alla dannazione dell'incontro fatale con la balena bianca di Melville.Su questo sfondo, con Charles Peirce il pragmatismo si svilupperà come teoria del significato, e il significato di un'espressione verrà definito come l'insieme delle conseguenze pratiche che derivano dalla sua accettazione; oppure, con William James e John Dewey, come una teoria della verità, anch'essa identificata con l'utilità pratica che ne deriva: secondo la lezione darwiniana, infatti, il vivente è sempre in rapporto dinamico e conflittuale con l'ambiente in cui è immerso, e il pensiero non altro è che uno strumento che facilita il suo adattamento nei confronti dell'ambiente.Seguire, nelle sue varie configurazioni, il successivo svolgersi di questa corrente filosofica è difficile, i saggi raccolti nel volume non sono riassumibili. Josiah Royce - il poco noto "American Plato" secondo Peirce - compì studi hegeliani in Europa, e "sdoganò" ad Harvard l'ateista Nietzsche per approdare, alla fine, a un "pragmatismo assoluto" la cui garanzia sta (ovviamente) nel "successo pratico" delle nostre idee. John Dewey esplorò ogni settore dello scibile filosofico e viene considerato capostipite della psicologia sperimentale e di una pedagogia molto democratica (in questa veste fu assai amato in Italia). George H. Mead elaborò una "teoria biosociale" della mente, mentre Charles Morris tracciò le linee di fondo di una moderna semiotica e di una teoria dei valori («in relazione con le preferenze comportamentali e di azione e non come entità assolute e idipendenti»). Un approccio più vicino alle esperienze della filosofia "analitica" è quello di Willard Quine, che «smonta criticamente nozioni astratte come gli universali». L'approfondimento dell'originaria ispirazione darwiniana riportò in auge anche tematiche schiettamente metafisiche. Alcuni pragmatisti elaborarono la tesi di una consonanza tra l'adesione alle metodologie scientifiche e una fede religiosa interpretata in maniera non tradizionale. Non seguiremo gli ulteriori sviluppi della "scuola", segnati da figure pur interessanti come Hilary Putnam e Charles Rorty.La scintilla dell'attenzione europea per il pragmatismo fu un giro di conferenze tenute (anche a Roma) da William James nel 1905; ma già nel 1910 l'interesse era esaurito. Non meno breve, ma abbastanza organica, la parabola italiana, sviluppatosi ad opera di un inquieto Papini e del suo amico Prezzolini, più alcune altre figure rappresentative, come Giovanni Vailati o Mario Calderoni. Papini e Prezzolini fondarono la rivista il "Leonardo", con propositi ed ambizioni rivoluzionarie nei confronti dei due movimeni di pensiero allora dominanti, il positivismo e l'idealismo. Il "Leonardo" lasciò il passo alla "Voce", anche essa realizzata dai due ma con più ampio e spregiudicato respiro, fino a porsi come espressione centrale del tumultuoso rinnovamento culturale (e politico) italiano agli inizi dello scorso secolo. Portatrice di vasti spunti polemici e meritoria per l'intensa attività editoriale e le aperture verso l'Europa che ne scaturì (specialmente dal "Leonardo"), l'esperienza delle due riviste non lasciò però tracce durature nella filosofia italiana. Loro eredità maggiore fu un attivismo volontaristico e individualistico da cui scaturì forse anche un po' di fascismo, ma che certo aveva poco del misticismo rigorista, come anche delle ricerche di etica e logica, di Emerson, di James ecc.Le elezioni presidenziali, con la vittoria di Donald Trump, cambiano totalmente il panorama politico e culturale del grande paese d'oltreatlantico. Difficile dire se l'epoca di Trump - che non è nemmeno un Reagan, anche se la sua vittoria riecheggia quella dell'attore - rispetterà i canoni fondamentali della grande scuola di pensiero che ha innervato la spina dorsale del paese. L'utilitarismo pragmatista è fortemente impregnato di etica, un'etica che potrebbe essere degnamente quella dei grandi tycoons, quelli del rugged capitalism con le sue regole di fondo. Alla deregulation globalista seguirà una generazione attenta alle pratiche protezioniste? Forse una spaccatura profonda segnò anche la nascita, nel 1828, del Partito Democratico: sicuramente la svolta impressa - un secolo dopo - da Franklin Delano Roosevelt accentuò le già ovvie divergenze con il Great Old Party, ma in fondo l'uno come l'altro partito non segnò un distacco da quella autoctona filosofia, anzi se ne nutrì. Siamo oggi sulle soglie di una svolta epocale? Sarà, l'America di domani, ancora figlia di se stessa?