Salvare l'Arte. È l'imperativo che percorre l'Appennino ferito, dove al dramma umano delle migliaia di sfollati si aggiunge una distruzione vastissima del patrimonio. Salvare l'Arte, tuttavia, non è così semplice. Dopo la scossa di domenica, il segretario generale del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Antonia Pasqua Recchia, che si aspetta si arrivi a un totale di 5000 segnalazioni, avanza al grido di: «Ricostruiremo tutto, siamo già al lavoro. Ma serviranno più fondi e più persone».Dopo il sisma di Amatrice si stava tamponando la situazione, sono arrivati 10 milioni di euro per le prime necessità, 1338 opere salvate nel Lazio sono state trasportante nel deposito di Cittaducale. Le messe in sicurezza tuttavia erano ancora in corso, tanto nel Lazio quanto nelle Marche e nell'Umbria.Prendiamo il caso di Castelluccio di Norcia: c'erano stati puntellamenti, cerchiature e altre operazioni per evitare crolli, ma erano efficaci per tenere in piedi gli edifici in condizioni normali, non certo per reggere a scosse forti come le ultime. I tecnici sono al lavoro in Umbria, Lazio e Marche, sono strutturisti, archeologi, storici dell'arte, e vengono accompagnati dai vigili del fuoco, carabinieri, protezione civile. Funziona così, c'è un'Unità di crisi nazionale, con a capo il prefetto Fabio Carapezza Guttuso, che coordina le Unità di crisi regionali. Con un decreto, pochi giorni prima delle ultime scosse, è stata inoltre creata una Soprintendenza speciale per le aree colpite dal sisma che dovrà entrare presto nelle sue funzioni e, probabilmente, a questo punto, essere allargata ai nuovi territori coinvolti. A livello pratico le procedure prevedono che, a partire dalle segnalazioni giunte al Mibact, gli operatori riempiano delle schede, in un primo tempo sintetiche e poi approfondite. Nel frattempo, si studiano i sistemi informativi del Ministero, ovvero banche dati che permettono di conoscere quali beni siano presenti sul territorio, nel tal museo o in una chiesa. Questo aiuta anche a preparare l'intervento di recupero delle opere e a scegliere quali materiali portare con sé. C'è poi la questione delle macerie. Per ricostruire un affresco, per esempio, sono importantissimi anche i frammenti, per cui gli istituti di restauro - proprio come stavano facendo fino a qualche giorno fa nel Santuario della Filetta nel Lazio - dovranno raccogliere i singoli frammenti anche nelle chiese crollate a ottobre. E ce ne sono di importantissime. Nell'Umbria, per esempio, la chiesa di San Benedetto a Norcia, dove gli strutturisti stanno cercando di capire come mettere in sicurezza la facciata. E la lista è lunghissima, se si pensa che il sisma si è sentito fino a Roma, lesionando alcune grandi basiliche (Sant'Ivo alla Sapienza, San Paolo Fuori le Mura e San Lorenzo). Una dolorosa litania di devastazione, una terra di campanili spezzati, di paesi chiusi, con un numero di sfollati enorme e il rischio che, in quei luoghi, restino solo pietre senza anima, se non si ricrea il tessuto sociale e non si agisce con efficacia sui monumenti che possono essere trainanti, anche come attrattori turistici. Si inizia ad aprire il dibattito sulla ricostruzione, «un problema su cui ascolteremo con interesse anche i nostri amici europei», spiega la Recchia. Una delle novità più interessanti riguarda l'Artbonus, uno sgravio fiscale del 65%, che sarà allargato anche a chi farà donazioni per la ricostruzione di beni ecclesiastici, che poi sono i più colpiti e finora erano esclusi da questa misura. È la sfida dei prossimi anni: ricostruire nel modo più consapevole il museo diffuso che è l'Italia centrale. Ma bisogna fare in fretta, proteggere dalle intemperie, dagli sciacalli, da nuove eventuali scosse, per quel che si può. Però, questo si è capito, le risorse umane ed economiche, per ora non bastano.