La riforma Orlando sulla giustizia penale (sostanziale e processuale) e sul diritto penitenziario, dopo essere rimasta a lungo parcheggiata al Senato, in vista dell'ultimo miglio (12 luglio/13 settembre) si è impantanata ed è uscita dall'ordine del giorno di Palazzo Madama. Attorno ad essa si sta giocando tra i vari protagonisti una partita opaca, nella quale il tema della giustizia penale, della sua riforma e della sua efficacia, non è l'elemento decisivo.Sintomatici di questo assunto sono stati gli incontri dell'altro ieri del presidente del Consiglio e del ministro della Giustizia con Anm e Cnf. Già di per sé la presenza del capo del governo sposta l'asse della materia e il suo cuore. Invero, sulla spinta di una logica "sindacale" che caratterizza l'attuale leadership della magistratura associata, un ruolo centrale assumono le questioni di carriera e di status del magistrato (ferie, età pensionabile, permanenza nelle sedi di prima assegnazione). Anche i magistrati hanno le loro campagne elettorali con le quali misurare i loro rapporti di forza, con conseguenze - in tema di potere - a molti livelli.C'è naturalmente anche il problema del funzionamento della macchina giudiziaria e del personale di supporto, già incrementato dagli stages dei giovani laureandi, per il quale comunque sono state date ampie garanzie da parte del premier. Sullo sfondo sembra scivolare il problema del termine per l'esercizio dell'azione penale, questione che vede interlocutore il ministro - e non il presidente del Consiglio come sulla tematica appena indicata. Invero si tratta di una rivendicazione che in termini processuali è pretestuosa, considerando che, con il deposito ex articolo 415 bis cpp, il pm è in possesso di tutti gli elementi per esercitare l'azione penale. Come tutti gli operatori di giustizia sanno, l'archiviazione dopo la discovery costituisce un caso di scuola. I casi di avocazione dei procuratori generali già esistono nel codice e non danno luogo a particolari problemi, anche perché molto spesso l'avocazione non è esercitata pur sussistendone i presupposti.Dove sta allora il problema? La realtà è riconducibile alla tenacia con la quale i procuratori - che già gestiscono il tempo dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato - vogliono, governando anche i tempi dell'esercizio dell'azione penale, decidere chi, come, quando va processato. Non si vuole alcun controllo sull'azione, contrabbandando una incontrollata discrezionalità con il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.Ci sono poi le verità/falsità sulla sufficienza della maggioranza nell'affrontare una questione di fiducia sulla riforma, con il referendum costituzionale sullo sfondo: diventa questo un terreno scivoloso che va lasciato a chi conosce le vicende della politica. Interessano invece gli operatori della giustizia le legittime riserve che, in una riforma così significativa del diritto e della procedura penale, permangono su alcuni aspetti: video conferenze, dibattimenti a distanza e l'intera delega del trojan, punti sicuramente deboli, destinati a incidere negativamente su un modello di processo che voglia rispettare oggettivamente le istanze difensive.