Arturo Parisi ha definito il No, che ha scelto il Residence Ripetta come la sua Sala della Pallacorda, "un'alleanza tra chi odia il premier e chi vuole solo tornare al passato". Da parte nostra non riteniamo che sia giusto riproporre la famosa battuta di Marx, a proposito dei fatti storici che la prima volta si presentano come tragedia e la seconda volta come farsa, ma piuttosto bisogna rilevare che in questa occasione svolge un ruolo essenziale la "dialettica dei contrari": a suo tempo nella Sala della Pallacorda si riunirono i rivoluzionari, questa volta al Residence di Ripetta c'è stata un'assemblea di "conservatori" più un manipolo di "guastatori" che, prescindendo dal merito di ciò che si discute, vede il referendum come un possibile fucile ad alta precisione per colpire finalmente Renzi con un colpo in mezzo alla fronte. Mette conto, allora, come in tutti i romanzi che si rispettano, fare un passo indietro.Se vogliamo andare alle origini di questo scontro sulla riforma costituzionale non possiamo fare a meno di partire da quando fu discussa e scritta la "Costituzione più bella del mondo" che fu redatta da personalità di grande livello della Dc, del Psi, del Pci e del Partito D'Azione (da Costantino Mortati, agli intellettuali cattolici della comunità del Porcellino come Dossetti, Fanfani, La Pira, Moro, al socialista Lelio Basso a Palmiro Togliatti, Terracini, Laconi del Pci a Piero Calamandrei del Partito d'Azione).Quella Costituzione fu scritta benissimo, ma essa era dominata dalla paura reciproca fra democristiani e comunisti quando ancora non era consolidata la divisione del mondo in due blocchi. Di conseguenza fu una Costituzione estremamente bilanciata, che legava le mani al governo e alla maggioranza e dava la massima autonomia alla magistratura affinché essa non fosse guidata da chi avesse vinto la partita. Il rischio di quel bilanciamento dei poteri centellinato al millimetro era lo status quo, una sostanziale, perenne conservazione. Il primo a rendersi conto di tutto ciò fu proprio De Gasperi che non a caso propose una legge maggioritaria, quella del '53. Contro quella legge il Pci condusse con successo una battaglia demonizzante tant'è che essa è passata alla storia come "la legge truffa" mentre invece era solo una legge maggioritaria che certamente innovava in modo profondo rispetto alla legge elettorale proporzionale e a tutto ciò che essa presupponeva. Nel 1953 il quorum non scattò e quel risultato ha segnato in modo profondo la successiva storia repubblicana, fino agli anni 90.Un nuovo tipo di innovazione fu successivamente tentato, non più sul piano istituzionale, ma su quello economico-sociale, da Amintore Fanfani (vedi l'Ina-Casa, il ruolo fondamentale dell'Eni di Mattei, la Cassa del Mezzogiorno, l'Iri, la Rai di Bernabei) che cercò di dare al potere politico anche un forte potere economico. Tutto ciò provocò reazioni violentissime e non a caso scattò alla Domus Mariae la "congiura" dei moro-dorotei (Segni, Rumor, Piccoli, Emilio Colombo, Bisaglia, lo stesso Moro) mentre fu durissima l'opposizione del Pci che temeva un interventismo economico e sociale che poteva togliere l'erba sotto i piedi al blocco sociale da esso aggregato e all'organizzazione del malcontento ("il cartello dei no") che esso sviluppava e gestiva in modo sapiente.Di conseguenza, in seguito alla reazione dorotea anche il centro-sinistra riformista fu risucchiato dal moderatismo.In quegli anni gli strumenti fondamentali della politica economica erano due: la dilatazione in molteplici direzioni della spesa pubblica e le cosiddette svalutazioni competitive. Coloro che adesso rimpiangono la lira dimenticano quante volte essa è stata svalutata. Le svalutazioni di quel tipo sono state la droga attraverso la quale gli imprenditori italiani hanno mantenuto la competitività senza fare nel loro complesso salti di qualità sul terreno degli investimenti tecnologici. Certamente ci sono state imprese italiane ad alto livello di innovazione tecnologica ma esse sono sempre state una minoranza come è evidente anche oggi, visto che siamo agli ultimi posti sul piano della competitività e della produttività.A quel punto, di fronte alla situazione stagnante degli anni '70 si sviluppò l'iniziativa di Bettino Craxi che non a caso nel 1979 lanciò la tematica della "grande riforma" che si fondava su un'ipotesi presidenzialista, comunque su un maggiore potere dell'esecutivo. Craxi riuscì a vincere alcune battaglie come quella del punto unico della contingenza (il Pci ricorse al referendum ma fu sconfitto) e quella sui missili, ma di lì al 91-93 perse la guerra avendo contro uno schieramento assai aggressivo e potente costituito dal Pci, dalla sinistra Dc guidata da De Mita, dai giornali di De Benedetti e specialmente da Magistratura Democratica. Così Craxi fu liquidato da Mani Pulite e dall'azione coordinata di due pool, quello dei Pm e quello dei quattro giornali fondamentali (il Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, L'Unità): si è trattato del circo mediatico giudiziario posto in essere da una parte della magistratura che diede dei contenuti ideologici e politici all'autonomia che le aveva attribuito la Costituzione.L'arma fondamentale del circo mediatico-giudiziario è la sentenza anticipata che ha fatto nel passato tante vittime illustri, da Tortora a Craxi, a Forlani, a Mastella e altre continua a farle anche nel presente. La sentenza anticipata si fonda su un meccanismo micidiale: con l'avviso di garanzia sparato su giornali e le televisioni un uomo politico è distrutto anche se sette anni dopo viene assolto perché il suo consenso politico a quel punto è stato azzerato. Sulla base di questo meccanismo e dell'impostazione unilaterale che ebbe Mani Pulite sembrava inevitabile che il Pds prendesse il potere. La discesa in campo di Berlusconi impedì che quell'operazione riuscisse. Per dare sostanza alla sua iniziativa Berlusconi portò avanti anche una tematica politico-istituzionale fondata sul rinnovamento del sistema istituzionale: la sua legge di riforma costituzionale era simile all'attuale per ciò che riguarda il superamento del bicameralismo perfetto e il ruolo del Senato, ma era diversa (più incisiva secondo alcuni fra cui il sottoscritto, o invece caratterizzata da una deriva autoritaria secondo altri) perché aumentava i poteri del presidente del Consiglio.Il bello è che contro l'attuale riforma costituzionale viene evocata del tutto a sproposito la cosiddetta deriva autoritaria (che veniva messa in conto anche a Craxi), malgrado che in essa i poteri del presidente del Consiglio sono minori rispetto a quelli previsti nella riforma berlusconiana. Dal 1994 è scattato contro Berlusconi anche l'attacco giudiziario. Senonché contro di lui il meccanismo fondato sul circo mediatico e sulla sentenza anticipata è risultato meno efficace perché egli può avvalersi di tre televisioni, di un settimanale, di due, tre quotidiani, di rilevanti risorse finanziarie: paradossalmente il conflitto di interessi è stato uno strumento per l'equilibrio democratico fra le forze in campo.In ogni caso anche Berlusconi ha pagato su questo terreno un prezzo altissimo in seguito all'applicazione retroattiva della Severino. Comunque quella nuova fase iniziata nel 1994 ha portato ad un bipolarismo all'italiana diverso da quello europeo, perché fondato non sulla dialettica fra un partito conservatore-moderato e un partito riformista ma sullo contro fra berlusconismo e antiberlusconismo con coalizioni assai eterogenee e quindi tutt'altro che coese ed efficienti quando si tratta di governare il paese.Il fallimento di tutta questa fase è stato segnato dalle elezioni del 2013 con la duplice sconfitta di Forza Italia (6 milioni di voti in meno), del Pd (meno 3 milioni di voti) e con l'affermazione di un movimento protestatario quale il Movimento 5 Stelle. A quel punto si è affermata l'intuizione di Berlusconi - successivamente rovesciata, poi recuperata e infine definitivamente abbandonata con uno zig-zag di linee politiche di segno opposto francamente sconcertante e anche autolesionista - secondo la quale con la crisi del bipolarismo e con una crisi economica così profonda, l'unica via possibile è quella delle larghe intese fra centro-destra e centro-sinistra. Di conseguenza malgrado che nessuno glielo riconosca, quello di Alfano e degli altri parlamentari del Ncd non è stato un episodio di carrierismo e di tradimento, ma una scelta politica assai difficile e a permanente rischio che però ha salvato la legislatura, ha evitato una vittoria dei 5 Stelle e ha consentito l'apertura di una fase riformista.Nel contempo nel Pd si è verificata l'estromissione della leadership post-comunista e l'affermazione di quella di Renzi. Con Renzi, malgrado i suoi errori, siamo di fronte all'affermazione di una nuova leadership innovatrice che tenta per l'ennesima volta - dopo De Gasperi, Craxi e Berlusconi - di far passare una "grande riforma" istituzionale. Non a caso contro questo tentativo innovativo e riformista si sono mobilitate forze di destra e di sinistra assai simili a quelle che hanno combattuto tutti i precedenti tentativi riformisti: da un lato i post-comunisti nostalgici della "ditta" e della legge proporzionale più la sinistra Sel, più un bel pezzo della nostalgia democristiana (da De Mita-Gargani a Cirino Pomicino) dall'altro la Lega Nord in versione lepenista e Fratelli d'Italia. La minoranza dem sta usando il referendum come una sorta di congresso del Pd, dando però la sensazione che il Pd in quanto tale non ha trovato un punto di equilibrio politico e di sintesi culturale. La forza politica nuova è costituita dai protestatari del Movimento 5 Stelle i quali puntano alla vittoria del No, nella giusta valutazione che sarebbero essi ad avere il massimo vantaggio politico dalla sconfitta anche di questo estremo tentativo riformista. È augurabile che Berlusconi capisca che, dando retta alla sua ala estremista, egli si viene a trovare in una collocazione innaturale, insieme a Travaglio, a Zagrebelsky a tutto il giustizialismo possibile e immaginabile, alla destra radicale, alla sinistra dem e poi, più pericolosi di tutti, al Movimento 5 Stelle.Questa cattiva compagnia dovrebbe far riflettere Berlusconi perché se si impegna sul No egli scuote l'albero, viene usato dalla Lega e da FdI sul terreno del voto referendario, ma poi a raccogliere i frutti di esso saranno ben altre forze, in primo luogo quel Movimento 5 Stelle che sostiene l'uscita dalla Nato e che, qualora andasse al governo, avrebbe come uno dei suoi primi obiettivi quello di asfaltare Mediaset, in secondo luogo dall'ala estremista del centro-destra. Ma al di là di queste valutazioni politiche ce n'è un'altra di fondo: c'è una situazione internazionale segnata da quella che papa Francesco ha definito una "guerra mondiale a pezzetti". Per di più tutta la dialettica politica e finanziaria è caratterizzata da una estrema velocità decisionale. Se l'Italia bloccasse le riforme per chiudersi in sé stessa, preda di una conflittualità senza esclusione di colpi, si andrebbe incontro a una paurosa crisi di sistema, sia di quello politico che di quello economico.È incredibile che alla direzione del Pd solo Gentiloni ha evocato un quadro internazionale drammatico, nel quale forze come da un lato la Russia di Putin, dall'altro Trump, la Le Pen, la destra tedesca, in Italia la Lega Nord e il M5S giocano una partita micidiale i cui sbocchi sono assolutamente imprevedibili.