Il professor Valerio Onida, giurista assai illustre ed ex presidente della Corte Costituzionale, si è rivolto alla magistratura per chiedere il rinvio del referendum. Onida ha fatto osservare che il quesito referendario chiede l'approvazione o il rigetto di almeno cinque "tronconi" di riforma costituzionale assai diversi l'uno dall'altro. Potremmo riassumerli con cinque domande.Volete abolire il Senato a elezione diretta? Volete ridurre il numero dei senatori? Volete sottrarre al Senato il potere di dare la fiducia al governo? Volete ridurre i poteri delle Regioni (privandole, soprattutto, del controllo della sanità pubblica)? Volete abolire il Cnel (ente del quale, peraltro, la stragrande maggioranza dell'elettorato ignora l'esistenza)?Possiamo ragionevolmente dire che i primi tre quesiti (quelli che riguardano il Senato), sono abbastanza omogenei tra loro, anche se - in linea di principio - potrebbe esistere un discreto numero di cittadini favorevoli a ridurre il numero dei senatori ma contrario a rinunciare all'eleggibilità diretta. In ogni caso, gli altri due quesiti - indiscutibilmente - sono assai disomogenei, come ha osservato il professor Onida. E' molto probabile, ad esempio, che gran parte degli elettori contrari alla riforma del Senato sia invece favorevolissima all'abolizione del Cnel. E magari anche alla riduzione dei poteri delle Regioni (o viceversa). Sulla base di questo ragionamento il professor Onida sostiene che il referendum, così com'è, viola il diritto di voto degli elettori, e dunque va riformulato, e dunque va rinviato. Ha ragione Onida?E' molto difficile, francamente, pensare che il professor Onida, nel sollevare la questione, sia davvero interessato soprattutto al merito del problema che pone. E' abbastanza facilmente immaginabile che la ragione della sua mossa sia assolutamente politica. Onida è impegnato nella battaglia per cancellare la riforma-Renzi, e la decisione di rivolgersi ai magistrati per chiedere il cosiddetto "spacchettamento del quesito" e di conseguenza il rinvio della data del referendum, fa parte in modo molto chiaro di una strategia politica che è stata disegnata da un pezzo del fronte del No.Del resto la proposta di spacchettare il referendum, esattamente con gli argomenti che oggi ci presenta Onida, fu avanzata nove mesi fa (non qualche settimana fa) dal partito radicale. C'è un articolo di due esponenti radicali di primo piano (Riccardo Magi e Mario Staderini), pubblicato dal "Fatto Quotidiano" nello scorso mese di gennaio, nel quale veniva con grande chiarezza spiegato il perché fosse necessario lo spacchettamento. E qualche mese dopo, a favore dello spacchettamento si pronunciarono una cinquantina di costituzionalisti (tra i quali proprio lo stesso Onida) e su questa base si cercò di raccogliere le firme tra i parlamentari. Servivano le firme di un quinto dei parlamentari per mandare avanti l'ipotesi dello spacchettamento, e sicuramente i gruppi parlamentari che oggi sostengono il No (cioè, praticamente tutti, tranne un pezzo di Pd, i verdiniani e gli alfaniani) disponevano di quel pacchetto di parlamentari. Ma non si mossero, e la richiesta radicale fu affossata.Il professor Onida, evidentemente, aveva già molto chiara la questione ben prima che Renzi fissasse la data del referendum e il presidente della Repubblica firmasse il decreto.Il problema di questa campagna elettorale, che è appena iniziata e durerà ancora quasi due mesi, è precisamente questo: che il valore politico del Si e del No non ha quasi niente a che fare col merito della riforma del governo Renzi, ma ha moltissimo a che fare con una furiosa lotta politica, che si è aperta in tutto il paese, che taglia a metà, trasversalmente, destra, centro e sinistra, e che ha come posta in gioco non quale Italia nei prossimi decenni, ma quale ceto politico - o, più precisamente, quale classe dirigente - prenderà il comando nel paese. Con tutti gli sforzi possibili e immaginabili, la battaglia politica resta ferma a quel palo lì: Renzi si o Renzi no.Naturalmente nessuno nega la rilevanza di questo quesito. Matteo Renzi ha impresso una svolta al modo di governare l'Italia, molto, molto personale. E legittimamente a moltissimi non piace né lui, né il suo stile. Cosa c'è di male ad essere contrari al governo Renzi? Niente. Il problema è che se questo tema travolge tutte le altre discussioni, e piega alla contrapposizione tra renzisti o antirenzisti ogni possibile conflitto politico, chi ci rimette è il conflitto politico. Che scompare. E scompaiono i valori, scompaiono le diverse visioni di società e di Stato, scompaiono le differenze tra sinistra e destra. Tutto si trasforma in "guerra personale" o in guerra "alla persona". E, ad esempio, il Referendum, che poteva essere l'occasione di una grande discussione di massa sullo Stato, i suoi compiti, i suoi assetti, le sue caratteristiche, diventa una rissa alla quale non sono invitati né i princìpi, né le idee, e - a guardar bene - neppure la politica.Di chi è la colpa, dei renziani o degli antirenziani? Diciamolo francamente: di tutti e due. In parti eguali. E tutti e due questi schieramenti stanno cercando di cancellare la possibilità di partecipare alla politica senza prima avere detto pollice su o pollice giù per Renzi. Sta nascendo un tipo di pensiero che non si può più definire pensiero unico: è il pensiero biunivoco. Con due fronti uguali e contrari. E' peggio del pensiero unico.