Negli Stati Uniti Massimo Bossetti sarebbe stato assolto. In Italia ci vorrebbe un Corrado Carnevale in Cassazione per fare a pezzetti la sentenza che ha condannato all'ergastolo il muratore di Mapello per l'omicidio di Yara Gambirasio e le motivazioni "furbe" che giustificano quel provvedimento. L'unica prova è quella del Dna. Tutto il resto nel processo è sparito, in un clima di smemoratezza collettiva impressionante.Vogliamo ricordare il furgone? Crollato, dopo che un colonnello del Ris aveva dovuto ammettere in aula di aver costruito un videomontaggio ad hoc «per esigenza della stampa». E la testimone che diceva di aver visto Bossetti e Yara in auto? Sparita. I tradimenti della moglie, che parevano fondamentali per spiegare lo stato d'animo di Bossetti? Irrilevanti. E così via. Dopo aver spiegato come quella del Dna sia una "prova granitica", i giudici costruiscono il romanzo sul movente e lo svolgimento dei fatti. La Pm Letizia Ruggeri aveva detto in aula «non è possibile individuare un movente certo». Era stato un suo momento di onestà. I giudici hanno invece costruito ex novo un quadro di avances sessuali respinte. E di conseguenza hanno dovuto lavorare di fantasia. Senza poter spiegare come e perché Yara sia salita (spontaneamente, dicono), in una sera di pioggia, sul furgone del muratore, né come i due siano poi arrivati al campo di Chignolo, dove tre mesi dopo il corpo della ragazzina sarà ritrovato.Secondo la sentenza Bossetti, dopo esser stato respinto, prima avrebbe colpito Yara alla testa con un sasso, poi si sarebbe esercitato in un'attività artistico-chirurgica incidendo sul corpo della ragazza con un temperino una serie di X e di Y. Come mai, si si potrebbe chiedere, non c'è traccia di violenza sessuale? Se lo scopo di quella "gita" in campagna era ottenere un rapporto, perché, una volta che la ragazza era intontita dal colpo in testa, non è stata violentata? La sentenza non sa rispondere. Sa solo giudicare l'imputato come sadico, crudele, malvagio, per il dolore che ha provocato nella sua vittima, che sarà poi abbandonata in piena campagna, dove in seguito morirà per il freddo. In sintesi quest'uomo convince una giovanissima ragazza a salire sul suo furgone, ma quando lei rifiuta le sue avances la colpisce, le disegna sul corpo alcune lettere dell'alfabeto, non la violenta pur avendone l'occasione e poi l'abbandona in un campo. Un matto? No, perché Bossetti viene descritto come lucido assassino che agisce freddamente, non d'impeto. Sembra un romanzo, e anche i giudici se ne rendono conto, tanto da scrivere che «la dinamica del fatto resta in gran parte oscura». «Ma ciò - aggiungono - non scalfisce il dato probante rappresentato dal rinvenimento del Dna su slip e pantaloni». I tecnici e gli avvocati della difesa hanno insistito a lungo sulla necessità di trovare tracce non solo del Dna nucleare ma anche di quello mitocondriale. Se non si trovano tutte e due le parti, sarebbe come stabilire che solo il tuorlo senza l'albume caratterizza un uovo. Il Dna mitocondriale di Bossetti non è stato mai trovato, anzi i tecnici dell'accusa hanno anche compiuto un grave errore confondendolo con quello di Yara. La sentenza liquida il problema scrivendo «è un mistero».Ecco dunque qual è la prova per cui un uomo è stato condannato all'ergastolo: «La prova che l'imputato e la vittima sono entrati in contatto». Quindi, senza nesso di causalità, si deduce anche che lui l'abbia uccisa. Entrare in contatto non comporta aver ucciso, direbbe un qualunque Perry Mason. Ecco perché in un tribunale americano o in una nostra attenta Cassazione, Bossetti sarebbe assolto.