In dodici anni passati nello spazio interplanetario ha percorso qualcosa come otto miliardi di chilometri, ha sorvolato la Terra (due volte), Marte, l'asteroide 2867 ?teins, l'asteroide 21 Lutetia, è poi rimasta in stato di ibernazione per 31 mesi. Infine ha raggiunto il suo obiettivo: la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, così chiamata dal nome degli astronomi russi che la scoprirono nel lontano 1969 e l'ha accompgnata per due lunghi anni.Il viaggio di Rosetta, la sonda costruita dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) è terminato ieri all'ora di pranzo nel modo più spettacolare, schiantandosi volontariamente sulla superficie di 67P: «Addio Rosetta, hai fatto proprio un bel lavoro», ha dichiarato commosso Sylvian Lodiot, responsabile della missione tra l'applauso scosciante di tecnici, ingegneri e scienziati del Centro europeo di controllo di Darmstadt. Uno schianto muto nello spazio profondo a 720 milioni di chilometri da casa. «È un impatto delicato, la sonda non si è distrutta, ma ha semplicemnte cessato di funzionare, è come una Fiat 500 che cade sulle nevi del Monte Bianco», spiega Francis Rocard dell'Agenzia aerospaziale francese (Cnes). Restera per sempre sulle rocce siderali di 67P, questa strana cometa a forma di nocciolina destinata a orbitare per l'eternità tra i giganti gassosi Giove e Saturno. Nelle ultime fasi della caduta ha scattato la più lunga sequenza fotografica da quando è decollata dalla Terra nel marzo 2004, impeccabile e professionale fino all'ultimo respiro. Si chiamava così in onore della celebre di Rosetta, l'antico manufatto scritto in tre lingue che nel XIX Secolo permise di decifrare i geroglifici egiziani.Alimentata da pannelli solari la sonda stava inziando a perdere potenza, l'Esa ha così deciso di mettere fine alla missione. Anche se aveva ancora energia a sufficienza per proseguire l'esplorazione e la gran parte dei suoi strumenti funzionava perfettamente le sue batterie si sarebbero presto scaricate falsando la trasmissione di informazioni: «Rosetta è morta, ma la ricerca continua», commenta l'astrofisico Matt Taylor.Concepita nel 1993 e costata circa 1,5 miliardi di dollari, la missione è stata senza dubbio un grande successo scientifico: Rosetta è infatti la prima sonda ad aver scortato una cometa nella sua corsa orbitale: fino ad allora la conoscenza delle comete era limitata alle immagini catturate dal telescopio Hubble. Nel corso della sua avventura ha raccolto milioni di dati «che occuperanno gli scienziati per decenni», spiega orgogliosa l'Esa e «il suo costo è molto inferiore ai benefici che porterà alla comunità scientifica», per usare le parole dell'ingegnere tedesco Jan Wörner. Dati preziosi per lo studio e dei corpi celesti più primitivi: migliaia di immagini ad alta risoluzione riprese da due apparecchi fotografici vecchi un quarto di secolo (le camere Virtis e Osisris) ma di estrema affidabilità, dettagliate analisi dei gas che circondano 67P, e i tanti campioni raccolti dal rover Philae, l'intrepido robot grande come una lavatrice che si è staccato dal "marsupio" di Rosetta per posarsi sulla cometa restando attivo per oltre un anno. Tra le scoperte più interessanti quella di alcune molecole organiche che diedero origine alla vita nel nostro pianeta, in particolare la glicina uno degli aminoacidi che compongono il nostro Dna e Rna, e il fosforo, elemento chiave della doppia elica e delle membrane cellulari. Nel luglio 2015 Philae ha smesso di inviare informazioni e di lui si è perso ogni contatto: dopo una lunga ricerca lo ha ritrovato appena tre settimane fa l'occhio della "madre" Rosetta, era appoggiato su un fianco con le gambe all'aria in una zona buia di 67P.Le comete, apparse 4,5 miliardi di anni fa sono rimaste "congelate" nello spazio, mantenendo praticamente intatte le caratteristiche che avevano in origine a differenza dei pianeti che al contrario hanno subito grandi alterazioni geologiche tra terremoti, vulcanismi e impatti con altri corpi celesti. In tal senso le comete sono vere e propria vestigia archologiche del sistema solare, dei "fossili" spaziali essenziali per comprenderne la formazione, quasi fossero delle macchine del tempo.