La rivolta dei disperati che è avvenuta al carcere francese di Vivionne evoca il celebre romanzo "I miserabili"di Victor Hugo: lo scrittore ha urlato al mondo le condizioni disumane in cui vivevano nei primi anni dell'800 i detenuti nelle carceri francesi. Hugo, sperava di sensibilizzare l'umanità perchè avvenisse un radicale cambiamento che potesse garantire, anche a chi ha sbagliato, il rispetto della propria dignità. Invece lo spettro di quei tempi è ancora in agguato, tanto da coinvolgere perfino i nostri connazionali. Nell'entroterra di Cannes c'è un penitenziario che per ben due volte è stato sotto l'attenzione della cronaca italiana. Parliamo del penitenziario francese di Grasses, tristemente famoso nel nostro paese per essere stato il teatro di due misteriosi decessi che hanno avuto come vittime i nostri connazionali. Nel 2010 vi era rinchiuso Daniele Franceschini con l'accusa di aver falsificato una carta di credito. Tante erano le lettere che spediva alla madre dove si lamentava delle condizioni degradanti nel quale riversava: dopo cinque mesi di prigionia venne ritrovato morto. Secondo la versione ufficiale delle autorità transalpine la causa del decesso sarebbe da attribuirsi a un arresto cardiaco, nonostante la vittima non avesse mai sofferto prima di problemi di cuore. I famigliari non ci hanno mai creduto e hanno intrapreso un'azione giudiziaria che continua ancora oggi. Nel 2014 ci furono le prime condanne: un anno con la condizionale per omicidio involontario al medico Jean Paul Estrade e l'infermiera Stephanie Colonna per non aver prestato le cure necessarie. Poi l'anno seguente il colpo di scena: il tribunale d'appello di Aix en Provence ha assolto l'infermiera, confermando però la condanna per il medico. L'aspetto grave di tutta questa vicenda fu che l'autorità francese riconsegnò il corpo privo di organi interni. Nel 2012 ci fu una durissima reazione dell'allora deputata radicale Rita Bernardini: "Il corpo di Daniele fu consegnato con molto ritardo dopo la misteriosa morte in carcere, privo di quelle parti interne del corpo che, se esaminate, avrebbero potuto dire molto sul suo prematuro decesso. Questa decisione appare come la firma posta in calce a un assassinio con tanto di copertura dello Stato". Nello stesso carcere francese, a due anni della tragedia, si era consumata anche un'altra morte sospetta di un giovane italiano: si chiamava Claudio Faraldi, 29 anni, di Ventimiglia e morì, solo in una cella, in circostanze ancora non chiarite. Risulta che ci sia un'inchiesta giudiziaria ancora in corso. La procura di Grasse aveva avviato una "informazione giudiziaria" per fare piena luce sulle circostanze che hanno portato al decesso di Faraldi, nell'ambito della quale la famiglia del connazionale si è costituita parte civile. Notizie ufficiali relative ai risultati dell'esame autoptico (non sono risultati segni di violenza), ai nomi del personale sanitario di turno la sera della morte e al dossier medico del ragazzo sono attualmente coperte da segreto istruttorio e potranno essere rese pubbliche solo al termine dell'indagine. Ma l'indagine rischia di andare per le lunghe visto che è stata recentemente assegnata ad un nuovo giudice istruttore, in quanto il precedente magistrato è stato trasferito presso altro tribunale. Situazioni degradanti denunciate anche da testimonianze di detenuti italiani"eccellenti"come quella di Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena. Indagata per aver favorito la latitanza del marito, e per aver schermato i beni di quest'ultimo, era stata arrestata a Nizza l'11 maggio del 2014 su mandato di cattura internazionale emesso dal gip di Reggio Calabria, e trasferita nel centro di detenzione femminile delle Baumettes, a Marsiglia, nonostante avesse fatto sapere attraverso il suo avvocato che si sarebbe costituita la sera dello stesso giorno a Reggio Calabria. Raccontò di essere stata sbattuta in una squallida e lurida cella, circondata da escrementi. Abbandonata a se stessa, senza acqua, senza luce, in compagnia di una lercia coperta sporca di vomito, aveva chiesto aiuto ma a nulla sono valse le sue urla angosciate, il suo battere a quella porta con le mani fino a lussarsi un dito. Riuscì poi ad ottenere l'estradizione ed era stata consegnata al confine alla polizia italiana ammanettata e scortata da agenti con i mitra spianati. Precauzioni a dir poco esagerate e ingiustificate.