Nel Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento dei trasgressori, svoltosi a l'Avana nel 1990, venne ratificato che «I governi devono assicurare che gli avvocati siano in grado di svolgere tutte le loro funzioni professionali senza intimidazioni, ostacoli, molestie o interferenze improprie». Un principio oggi sistematicamente violato, infatti a fronte dell'attacco subito da coloro che nel mondo difendono i diritti umani, cresce anche la persecuzione di chi ha come compito quello di garantire i diritti legali dei cittadini. Un salto "qualitativo" della repressione che identifica il difensore con il suo cliente, quando quest'ultimo è un oppositore politico l'avvocato viene messo nel mirino dei regimi. In occasione della presentazione del rapporto 2015-2016 di Amnesty International, nel febbraio di quest'anno, il segretario generale dell'organizzazione Salil Shetty ha evidenziato come «non sono solo i nostri diritti a essere minacciati, lo sono anche le leggi e il sistema che li proteggono». Una tendenza che attraversa il pianeta non esclusa l'Europa. Emblematico il caso di Malek Adley, l'avvocato egiziano, responsabile della Rete degli avvocati dell'Egyptian Center for Economic and Social Rights, che ha scontato 114 giorni di prigione preventiva (un trattamento al quale sono sottoposti 10mila dei circa 60mila prigionieri politici egiziani) per le manifestazioni del 15 e 25 aprile contro la cessione delle isole Tiran e Sanafir all'Arabia Saudita da parte del Cairo. Adley fortunatamente è stato liberato il 27 agosto e probabilmente ha pagato il suo impegno nel ricercare la verità, insieme al collega Ahmed Abdallah, sulla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni. Le numerose situazioni di guerra e instabilità politica "spingono" i regimi a compiere costanti violazioni, è così enormemente aumentata la possibilità di attacco a coloro che difendono i diritti umani, considerati come una minaccia alla sicurezza nazionale. Oltre alle torture, carcerazioni illegali e false accuse, sempre di più, come messo in evidenza da Amnesty International, viene ad esempio usata la pratica delle sparizioni forzate. In Siria, dall'inizio del conflitto nel 2011, oltre gli attivisti anche gli avvocati divengono dei veri e propri desaparecidos. Come nel caso del legale e difensore dei diritti umani, Khalil Ma'touq, arrestato a Damasco nel 2012 e poi scomparso. Ancora dopo quattro anni non si hanno ancora sue notizie, anche se si nutrono poche speranze circa la sua sorte. Purtroppo invece, è chiara la fine dell'avvocato keniota Willie Kimani, il cui corpo, insieme a quello del suo cliente, è stato ritrovato nel luglio scorso in un fiume. Secondo l'Alta Corte sono stati vittime di sparizione forzata e in seguito uccisi dalla polizia. Come afferma Nicola Canestrini, coordinatore del progetto Endangered Lawyers, portato avanti per l'Unione delle Camere Penali, che si occupa di censire i casi di avvocati in pericolo e costruire reti di organizzazioni a difesa dei legali: «Non credo nella sindrome del salvatore del mondo ma siamo anche intellettuali e la società ha il diritto di aspettarsi da noi, oltre la preparazione tecnica, anche la funzione di apripista su questioni importanti». Probabilmente pensavano la stessa cosa gli 8 avvocati turchi appartenenti alla ÖHD (Özgürlükçü Hukukçular Dernegi - Associazione Avvocati per la Libertà) che la mattina del 16 marzo 2016 a Istanbul sono stati arrestati nell'ambito di un indagine per "terrorismo". Si tratta di legali conosciuti internazionalmente per il lavoro a difesa dei diritti umani. Tra di loro l'avvocato Ramazan Demir che - come hanno reso noto i Giuristi Democratici e Legal Team Italia - ha già subito persecuzioni di vario livello. L'accusa principale era quella di aver divulgato materiale video che documentava le violazioni dell'esercito turco ai danni delle popolazioni curde. Dopo il fallito golpe di luglio la repressione generalizzata in Turchia è aumentata esponenzialmente.