Il terremoto del 24 agosto che ha provocato la morte di 290 persone ha scosso ogni abitazione privata ed edifici pubblici principalmente nella zona del Lazio, Umbria e Marche. Tra gli edifici pubblici ci sono anche i penitenziari, una trappola per i detenuti che vi sono ristretti. La notte le celle sono chiuse a chiave e l'ansia di chi vive là dentro è maggiore: nessuna via di fuga. «Un mondo recluso e immobile - ha scritto Maria Brucale su Il Dubbio all'indomani della devastante tragedia - quello dei detenuti nelle carceri. Orvieto, Ascoli Piceno, Terni, Spoleto, Viterbo, Roma, solo per citarne alcune. Ci sono anche con sezioni detentive di 41 bis. Lì il boato interrompe un silenzio sempre assordante. Non c'è fuga da quei luoghi. Non c'è riparo. La sensazione di impotenza del cataclisma afferra le anime prigioniere e le annichilisce. Possono pregare un dio se lo hanno. Confidare nei soccorsi. Attendere. Uno strazio feroce e inerme. Per loro niente corse in strada, abbracci, conforto. Nessuna voce di vicinanza. Gli affetti sono lontani e irraggiungibili. Un batticuore che spegne i sospiri e li soffoca».Non è come i moderni penitenziari americani dove basta un pulsante di emergenza per aprire in automatico tutte le celle. No, la guardia penitenziaria di turno le deve aprire una per una. Esiste un piano di emergenza in questi casi. Il Sappe - il sindacato di polizia penitenziaria - all'indomani del forte terremoto che ha quasi raso al suolo Amatrice, ha diramato un comunicato annunciando che l'organizzazione di emergenza in caso di terremoto ha funzionato perfettamente. Nel carcere di Orvieto i detenuti erano stati fatti uscire al centro di raccolta individuato dal piano di emergenza e difesa ed erano stati muniti di coperte per la notte. Solo alle 07,00 odierne sono stati fatti rientrare nelle sezioni. Un detenuto per un lieve malore dovuto alla paura per la forte scossa era stato fatto ricoverare. Sempre il Sappe aveva comunicato che anche per il resto di penitenziari colpiti dalla propagazione della scossa sismica tutto si è svolto a dovere.I fattiPerò i fatti sembra che non siano andati esattamente così. L'associazione Antigone delle Marche ha diramato un primo resoconto di come si sono vissuti quei momenti negli istituti di pena della loro regione: le procedure di evacuazione non sono state messe in atto e sono risultate di difficile applicazione. Inoltre non risulta che il giorno seguente sia stato concesso ai detenuti di mettersi in contatto telefonico con le proprie famiglie per rassicurarle sulle proprie personali condizioni ed accertarsi della salute dei propri familiari. Neanche a coloro che hanno parenti nelle Marche meridionali interessate più direttamente dal sisma. Sempre Antigone riporta le testimonianze di alcuni detenuti. «Ho pensato che potevamo fare la fine dei topi in gabbia»: queste le parole di un ristretto che hanno riassunto in modo significativo lo stato d'animo di chi si trova in carcere. Un altro detenuto ha denunciato: «Avrei certamente preferito che fossimo usciti nel campo, ho avuto veramente paura». Ancora: «Uno di noi ha avuto una crisi isterica perché le crepe nella sua cella sono aumentate di dimensione». Nel momento in cui si verificava la scossa sismica del 24 agosto scorso - scrive sempre Antigone nel comunicato - i detenuti erano nelle loro celle chiuse e sarebbero rimasti all'interno anche durante le scosse successive. Non risulta che dal Ministero o dalla Protezione Civile sia arrivata disposizione di agire diversamente; per cui anche il personale di custodia è rimasto all'interno della struttura.Trappola per topiL'inesistenza di piani di fuga in caso di emergenza e delle condizioni di sicurezza in carcere è un problema ancora non risolto. E non riguarda solo il terremoto, ma anche nel caso di incendi o dissesti. Ancora rimane il triste ricordo del rogo scoppiato nel carcere torinese delle Vallette il 3 giugno 1989: provocò 11 vittime. Il problema è che ci sono sezioni e celle chiuse e chi ha le chiavi deve aprirle una dopo l'altra. In Italia solo il nuovo carcere di Trento ha le aperture automatizzate. Il piano di emergenza ed evacuazione per ovvie ragioni non è sempre lo stesso. Nelle situazioni d'emergenza (terremoti, incendi, alluvioni) ogni carcere segue un suo specifico protocollo dettato dalle caratteristiche dell'istituto: tipologia architettonica e requisiti di sicurezza. Ad esempio quando ci fu il terribile terremoto del 2009 che ha squassato l'Aquila e i paesini circostanti, fu messo in atto un complesso piano di evacuazione per il carcere aquilano. Dal Dap - con una nota ufficiale - fecero sapere che si è trattato della "più grande operazione di traduzione di detenuti che si ricordi". Per il trasferimento dei detenuti ristretti nel carcere aquilano erano stati impiegati, secondo le cifre fornite dal ministero della Giustizia, 200 uomini, molti dei quali appartenenti al Gom (il reparto speciale della polizia penitenziaria addetto alla custodia dei reparti di massima sicurezza e per le operazioni speciali) per un totale di 70 mezzi, di cui 40 furgoni blindati e 40 autovetture della polizia penitenziaria. Le due donne rinchiuse nell'area riservata erano state tradotte nel carcere femminile di Rebibbia a Roma; gli 81 ristretti nella sezione 41 bis, nel reparto di massima sicurezza della casa di reclusione di Spoleto, mentre i detenuti assegnati al circuito della media sicurezza erano stati inviati nella casa circondariale di Pescara.Penitenziari in sicurezza?La domanda è d'obbligo a questo punto: quante strutture penitenziarie ubicate nelle zone considerate altamente sismiche sono costruite con adeguati criteri antisismici? Secondo una nostra ricerca non esiste una mappatura ufficiale sul fabbricato delle carceri e, com'è facile immaginare, le strutture carcerarie sono spesso datate, obsolete e non costruite secondo le più recenti indicazioni antisismiche. Quando ci fu il grande evento sismico del 2012 che colpì duramente l'Emilia Romagna, fu coinvolto anche il carcere di Ferrara dove la polizia penitenziaria si era data da fare per evacuare 500 detenuti. Si presentarono dei danni, tanto che l'allora deputata radicale Rita Bernardini presentò una interrogazione parlamentare chiedendo spiegazioni al riguardo. All'epoca c'era la ministra della giustizia Paola Severino che fece emanare una circolare che obbligava di tenere aperte le celle 24 ore su 24. "In caso di terremoto - disse la ministra Severino- il detenuto sa di non poter andare da nessuna parte: e' una situazione come capite molto angosciante". Quella circolare fu applicata solo nei primi giorni. Dopodiché di nuovo tutte chiuse come sempre. Magari fino alla prossima scossa.