È un caldo giorno di giugno di quarantasei anni fa; un poliedrico artista di successo, attore, cantante, direttore di orchestra, musicista, regista, scrittore, showman, conduttore televisivo e radiofonico senza sapere neppure perché si trova ammanettato e gettato in galera. Quell’artista si chiama Lelio Luttazzi; viene arrestato assieme a un altro attore all’apice del suo successo, Walter Chiari. Le accuse parlano di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Poi si saprà che tutto si regge su un qualcosa di incredibile: un giorno, non si ricorda neppure quando, si è limitato a “girare” a uno sconosciuto, che poi si scopre essere uno spacciatore, un messaggio che gli ha affidato l’amico Walter Chiari. Non ha fatto altro: qualcosa tipo: «Walter dice che…». Per quel “messaggio” trascorre trentatré giorni in carcere; poi, finalmente lo rilasciano: la sua posizione chiarita. Si rendono conto che è innocente, colpevole di nulla, estraneo a tutto. Insomma, un clamoroso errore giudiziario; nel frattempo qualcosa “dentro” si rompe, nulla più è come prima.Luttazzi si ritira: quello che patisce non si sana, è irrisarcibile, quello che si è incrinato, è incrinato per sempre. Ne deve passare del tempo, prima che riesca a trovare la forza e la voglia per apparire in qualche rara trasmissione televisiva, di incidere qualche cd con musiche come l’amato swing.Perché ricordare questa vicenda? Intanto perché è sempre serbarne la memoria, il nostro è un paese dal facile crucifige, dove spesso colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio, poi si rivelano innocenti.Quei trentatré giorni di prigione, quel macroscopico errore giudiziario, per concludere che le accuse sono senza fondamento per Luttazzi sono una ferita irrimarginabile, la vita cambia e nulla è più come prima. «Pesa. Ci faccio i conti in continuazione», racconta. Parte di quel trauma è raccontato in un libro, Operazione Montecristo (Mursia editore). Lo definisce «uno sfogo e un modo per sopravvivere. Stavo in galera, chiuso in una celletta d’isolamento piccolissima, bugliolo, secchio. Come le bestie. Avevo ottenuto dei quaderni e delle matite. Uno sfogo e un passatempo».Uno sfogo e un passatempo… Il tempo, si dice, placa e attutisce. Luttazzi conferma e insieme smentisce: «Il rancore si è stemperato negli anni. Però per l’ingiustizia subita ho ancora parecchio fastidio. Proprio io che sono sempre stato contrario alle droghe, mai una prova che l’avessi presa perché non l’ho mai presa in vita mia. E poi, Walter. Tutti lo dicevano, ma io lo difendevo, non l’ho mai visto fare queste cose. E stavamo sempre insieme. Certo era sfrenato, sempre sopra le righe anche in casa, avrei dovuto capire…».Il pensiero poi corre a Enzo Tortora: «Poveraccio, l’hanno assassinato. Andai a trovarlo in ospedale, e ho pianto. Ecco se con qualcuno devo ancora avercela, è con i giudici che neanche nel caso Tortora capirono…».Capirono… Più propriamente non vollero capire: perché capire si poteva e doveva subito; e in particolare avrebbero dovuto e potuto capire proprio i magistrati. Una vita cambiata, stravolta: «Per tanto tempo mi sono portato dentro una rabbia senza fine contro il Pubblico Ministero che mi aveva interrogato, e non mi aveva creduto».Luttazzi non viene creduto. Irrilevante ci siano o no delle prove, lo si sbatte in carcere perché, “semplicemente”, non viene creduto…Uscito dal carcere. Luttazzi si ritira. La tempra del tenace triestino gli consente di resistere, in qualche modo aiuta; e infatti, ogni tanto, lo si ritrova: una serie di concerti jazz di cui è grande appassionato; uno, al Teatro all’aperto a Villa Margherita, è memorabile, gli viene conferito il premio “Una vita per il Jazz”. Dopo un lungo silenzio, nel 2005 esce il cd “Lelio Luttazzi and Rai Orchestra 1954”: sono le registrazioni storiche della radio degli anni ‘50, trasmesse dalla radio appunto nel 1954; sono brani suoi, ma anche interpretazioni di Parlami d’amore Mariù, di Vittorio De Sica, un omaggio a Cole Porter, e un duetto con Gorni Kramer. Poi, eccolo ospite d’onore, nell’ottobre 2006, di Fiorello Viva Radio2, che in quell’occasione va in onda contemporaneamente alla radio e in televisione. Due anni dopo va da Fabio Fazio, a Che tempo che fa; e il 19 febbraio del 2009 partecipa al Festival di Sanremo condotto da Paolo Bonolis; in quell’occasione accompagna al pianoforte Arisa, che canta Sincerità.Da un anno è tornato a vivere, definitivamente, a Trieste assieme alla moglie Rossana. Per l’occasione Pupi Avati gira un film-documentario, Rai5 lo manda in onda il 30 ottobre 2011. Luttazzi, “El can de Trieste”, è già morto. Una lunga malattia, l’8 luglio 2010, lo stronca. Ha 87 anni.Stile impeccabile, colto, elegante e scanzonato conduttore di una storica trasmissione radio, Hit Parade, ma anche tantissime altre cose… Per dire: è lui che scrive le colonne sonore di alcuni film che sono “classici”, come Totò, Peppino e la Malafemmina; e forse non tutti sanno che ha avuto anche esperienze di attore. Per esempio ne L’Ombrellone di Dino Risi; ma anche L’avventura di Michelangelo Antonioni; Oggi, domani, dopodomani di Marco Ferreri, Luciano Salce, Eduardo De Filippo; L’illazione che anche dirige.E l’impegno politico? C’è stato anche questo. Rigorosamente laico con venature anticlericali, gli si accredita una fama di craxiano. «Tutto cominciò - spiega - perché portavo un garofano all’occhiello come Cole Porter, e allora mi avvicinai a quel partito». Certo non di destra, “senza fanatismi”; e diffidente d’istinto quando sente parlare di “patria”: «Io mi sono fatto tutto il fascismo, con quella parola usata come scusa per uccidere la libertà».Si iscrive anche al Partito Radicale. Marco Pannella lancia la campagna: “Diecimila iscritti entro il 31 dicembre del 1986”, pena lo scioglimento. In quell’occasione, per restare ai soli personaggi dello spettacolo, si iscrivono, “perché il Partito Radicale viva”, Dario Argento e Liliana Cavani, Damiano Damiani e Giorgio Albertazzi; Pino Caruso e Carlo Giuffré, Enrico Maria Salerno e Mario Scaccia, Ugo Tognazzi Roberto Herlitza, Domenico Modugno, Claudio Villa, Rita Pavone e Teddy Reno… e tra loro, appunto, Luttazzi.