Dacia Maraini è una delle più importanti scrittrici europee. Insignita in Italia dei maggiori premi, è stata finalista del Man Booker Prize. Il suo primo libro è stato pubblicato nel 1962, La vacanza, e da allora sono seguiti sedici romanzi, numerose raccolte di racconti, di poesia e oltre novanta opere teatrali. Il suo ultimo romanzo si intitola La bambina e il sognatore e, a qualche giorno dalla pausa estiva nel suo buen retiro abruzzese dove scriverà una nuova opera, racconta i suoi grandi amici intellettuali del Novecento, le nostalgie e le idee sull’oggi, ma con lo sguardo rivolto al futuro.Partiamo dal presente. Chi è oggi Dacia Maraini?Una scrittrice che ha guadagnato negli anni dei lettori affezionati. Ma non si creda che valga una volta per tutte. A ogni libro bisogna ricominciare da capo e se il libro non piace, sono pronti a buttarti via come una scarpa vecchia.Fedeltà a se stessi e intelligenza del cambiamento. Come si possono coniugare queste due istanze?Fedeltà a se stessi vuol dire non correre dietro alle mode e di mode letterarie ne nascono tante. Ma, fuori dalle mode, il mondo cambia e seguire i cambiamenti della storia fa parte del sentimento di realtà. Si diventa presuntuosi e imbalsamati se si pensa di rimanere fuori dalle grandi mutazioni che la storia ci butta addosso ogni momento.Due aspetti caratterizzano principalmente la sua personalità: senso della giustizia e coraggio. Da dove arrivano?Dai miei genitori: mio padre un idealista, appassionato della montagna e dei viaggi, ha pagato per mantenersi fedele alle sue idee, che erano contro il nazifascismo in un momento in cui furoreggiava in tutta Europa. Mia madre, donna pratica, intelligente, attiva, ha tenuto testa ai più difficili avvenimenti con coraggio e determinazione.Per esempio al campo di concentramento dove siete stati rinchiusi, in Giappone. C’è una resistenza dimenticata, quella di chi era lì. Può raccontarci qualcosa?Sono anni che mi propongo di scrivere un libro sul Giappone e il campo di concentramento. Lo farò, prima o poi. Finora ho raccontato solo dei dettagli: la fame, le umiliazioni di fronte al sadismo dei guardiani, la paura delle bombe, le malattie che, a mano a mano che diminuivano le vitamine e le proteine dal nostro pasto quotidiano, ci rendevano sempre più deboli e inebetiti.Topazia Alliata, sua madre, mi spiegò anche come siete riusciti a farvi trovare dagli americani che sorvolavano la zona. Può ricordarlo?Sì. Era finita la guerra e noi non lo sapevamo. L’abbiamo capito dal fatto che le guardie sono sparite da un giorno all’altro. Sembravamo liberi, ma dove andare che non c’erano mezzi di trasporto e tutte le strade erano minate? Passavano degli aerei tutti i giorni, ma non ci vedevano: il nostro era un campo piccolo, fatto di 18 persone e perso in mezzo alla campagna, dopo che la casa di Nagoya, in cui siamo stati prigionieri per il primo anno, era crollata sotto le bombe. A questo punto mia madre ha avuto l’idea di cucire una grande bandiera italiana mettendo insieme lenzuola, camicie tinte con le erbe e col pomodoro. E così finalmente ci hanno visti e sono tornati il giorno dopo con un enorme aereo che ha lanciato sul campo una montagna di bidoni piedi di ogni ben di Dio. Per noi è stato un momento di grande felicità. Eppure ricordo la voce terrorizzata di mio padre che urlava: «Non mangiate, non mangiate! ». Avevamo, infatti, lo stomaco contratto, mangiare di colpo dei cibi sostanziosi poteva farci morire.In Lontananze perdute abbiamo parlato della Sicilia. Cos’era quella terra nel dopoguerra?Era integra e bellissima. Ho conosciuto la Sicilia prima della rapina territoriale e per me è un ricordo straordinario, che fra l’altro mi ha permesso di scrivere un libro come Marianna Ucrìa, che rammenta un mondo non corrotto dal cemento, non distrutto da costruzioni speculative, fuori da ogni piano regolatore.E oggi che la prendono di mira i piromani?Non so sinceramente perché i siciliani, o per lo meno una gran parte dei siciliani, ami così poco la propria isola, da tollerare tutte le nefandezze che sono state fatte dalle mafia e dalla corruzione politica.Accennava alla Lunga vita di Marianna Ucrìa, premio Campiello 1990. Si aspettava quel successo? Che cosa è cambiato nella sua vita con quel libro?No, non mi aspettavo affatto il successo che ha avuto. Pensavo che nessuno si sarebbe interessato alla storia di una sordomuta vissuta nel Settecento. Invece mi sbagliavo. Meglio così. Certo, la mia vita è cambiata. Fino ad allora vivevo facendo altre cose oltre la scrittura: partecipavo a sceneggiature, lavoravo per la radio, scrivevo per riviste e giornali. Da quel momento ho capito che potevo anche vivere di scrittura. Eppure ancora per anni ho continuato a fare sceneggiature e scrivere sui giornali. Ma senza quell’assillo del guadagno che mi ossessionava.Marianna Ucrìa è considerato il suo capolavoro, ma forse ce n’è un altro, molto precedente, che può competere per bellezza: Memorie di un ladra  (1972), dove racconta la vita della borseggiatrice Teresa. Chi era questa donna?Memorie di una ladra è piaciuto molto a Pier Paolo Pasolini. Infatti, subito dopo averlo letto, mi ha chiesto di scrivere con lui la sceneggiatura del Fiore delle mille e una notte.  Gli era piaciuto il tono picaresco del mio libro, nato per caso da una conoscenza che avevo fatto in carcere durante una indagine per il Paese sera sulle carceri femminili italiane. Teresa era semianalfabeta, ma intelligentissima e spiritosa. Generosa anche e piena di risorse. Viveva con un nipotino, ma entrava e usciva dal carcere. Ha sempre pagato per i suoi piccoli furti, non è mai diventata ricca. Quando Monica Vitti mi ha chiesto di fare il film, io l’ho riferito con entusiasmo a Teresa, ma lei non sapeva nemmeno chi fosse Monica Vitti. Ha pensato che volevo fare un film con una monaca. Era ingenua e forte, una donna di gran coraggio. Appena mi hanno pagato per il film, le ho dato la metà del guadagno, raccomandandomi di comprare qualcosa per mettersi a posto. Ma dopo due giorni aveva speso tutti i soldi. I ladri hanno le mani bucate, mi ha spiegato, non possono conservare il denaro, se no perdono l’onore. La cosa buffa è che per gentilezza ogni tanto mi proponeva un regalo rubato e io dovevo convincerla che non potevo prendere quel pacco di matite che secondo lei mi sarebbero molto servite, perché sarei diventata complice di un furto, per quanto piccolo. Non capiva i miei scrupoli e ci rimaneva male. Ma le regole erano regole.Ha parlato della collaborazione con Pasolini per Il fiore delle Mille e una notte. Come andò?Abbiamo affittato una casa a Sabaudia, a pochi metri dal mare, ma in acqua non ci siamo andati mai. Pier Paolo aveva fretta. Dovevamo finire la sceneggiatura in quindici giorni. Lavoravamo dalla mattina alle sette fino a mezzanotte. Io scrivevo sulla schiava Zumurrud, che poi doveva tenere il filo del racconto e lui sugli altri racconti. Lavoravamo ciascuno in una stanza, e la sera ci mettevamo insieme a discutere e rivedere il tutto.Nel 2015 ha presieduto il comitato per le celebrazioni dei 40 anni dalla morte di Pasolini, cosa resta di questo intellettuale?Restano molte cose. Prima di tutto le sue bellissime poesie, poi il suo cinema, il suo teatro, i suoi romanzi. Ma anche l’esempio di un uomo impegnato che guardava con occhio limpido e critico quello che succedeva nel suo Paese e ne scriveva senza paura di ritorsioni. Allora lo odiavano. Ha avuto decine di processi. Ora invece lo amano.Pasolini e Moravia erano grandi amici. Insieme a loro e, a volte, alla Callas andava in giro per il mondo. Qual era lo spirito dei vostri viaggi?Viaggiavamo in maniera non turistica, allontanandoci dai grandi alberghi, dalle spiagge alla moda. Andavamo nelle zone più inesplorate e misteriose del Paese, dove non c’erano che strade di terra, dormendo nei seminari, sotto le tende, all’aria aperta. Era un mondo sorprendente. Poverissimo ma pieno di allegria e di intelligenza. Ora, con la malattia prima e le guerre di religione poi, tutto è cambiato e non si può più girare come facevamo noi, tuffandoci nella natura, fermandoci nei villaggi più sperduti, parlando con la gente.A proposito di Moravia. Una volta mi ha raccontato una cosa divertente che vi è successa mentre portava l’automobile?Torniamo in Italia. Alberto aveva imparato a guidare tardi, a cinquant’anni e, da uomo impaziente qual era, non badava molto alle regole della strada, però guidava bene, con un buon istinto e con buoni riflessi. Infatti non ha mai avuto un incidente. Solo che spesso lo fermavamo per eccesso di velocità. Una volta, proprio come in un film di Sordi, un vigile l’ha fermato, ha cominciato a togliersi i guanti con lentezza cerimoniosa e ha preso a fargli una lunga predica sul come si deve guidare. Allora Alberto si è impuntato e gli ha detto: «Scusi, la multa va bene, ma la predica no: o la multa o la predica». E il vigile fu abbastanza spiritoso da mettersi a ridere.Con Moravia ha vissuto quasi vent’anni. Che uomo era? Che scrittore?Alberto era un uomo profondamente gentile d’animo. Attento agli altri, modesto, generoso e rispettoso della libertà altrui. D’altronde non avrebbe potuto vivere tanti anni con Elsa se non lo fosse stato. Elsa che era una donna gelosissima della propria autonomia e della propria libertà. Alberto era un grande maestro che invece di insegnare - e avrebbe potuto farlo benissimo - preferiva capire e imparare. Per questo si circondava di giovani e ascoltava e assorbiva tutte le novità. Come scrittore credo che sia un classico, entrato con i suoi libri nella storia della letteratura italiana, un vero narratore, non a caso tutti i suoi libri sono stati trasformati in film. Gli autori che scrivono bene, ma non sanno raccontare una storia, non attirano i registi. I suoi Racconti romani, poi, rientrano nella grande tradizione della novellistica italiana, da Bandello a Basile, da Boccaccio a Pirandello.Veniamo al suo nuovo libro: La bambina e il sognatore. La voce è quella di un maestro. Lei ha un’attenzione particolare al mondo della scuola. Perché?Da anni frequento molto le scuole. Non che le vada a cercare, ma mi invitano e io vado, mi piace dialogare con gli studenti. Forse per questo mi chiamano, perché io non vado per insegnare o parlare dei miei libri, ma li prendo di petto e discuto con loro delle grandi questioni che ci toccano.Parliamo di donne e politica. I sindaci in Italia. Donne che potrebbero prendere la guida di un Paese come Hillary Clinton negli USA e Theresa May in Gran Bretagna. Un buon segno?Il Sessantotto credo sia stata la più grande rivoluzione pacifica del nostro tempo. Certo, ci sono state la deviazioni del terrorismo rosso e nero. Ma la stragrande maggioranza della gente ha visto nei cambiamenti che si chiedevano qualcosa di veramente importante, che avrebbe modificato la loro vita. Infatti le leggi, che erano ancora quelle del Codice napoleonico e poi del Codice Rocco, sono cambiate totalmente nel giro di una quindicina di anni. Il Diritto di famiglia, per esempio, che era ancora una piramide patriarcale che consegnava tutti i diritti al pater familias; la legge sulla uguaglianza di paga per uguale lavoro; la legge sul divorzio; la legge sul delitto d’onore, una vergogna che è stata cancellata a furor di popolo, la legge sulla violenza sessuale per la quale se una donna veniva stuprata non era lei a essere offesa, ma la morale pubblica, e così via. L’Italia in quegli anni è cambiata come non era successo da cento anni.Ancora donne e attualità. Lei è stata pioniera nelle lotte per i diritti dei più deboli. Nel 1973 hai fondato il teatro femminista della Maddalena, con i racconti di Buio (1999) hai vinto il premio Strega, nel 2004 hai scritto un testo teatrale contro la violenza sulle donne, Passi affrettati, poi nel 2009 L’amore rubato. Pochi giorni fa una ragazza è stata violentata nel Salernitano da un gruppo di minori. Come se non bastasse, nel dibattito che ne è seguito, sono emerse posizioni maschiliste e violente che vorremmo non sentire più. Perché, secondo lei?Il fatto è che le leggi si cambiano più facilmente di come si cambia la mentalità di un popolo. Soprattutto di un popolo che ha avuto una storia molto travagliata come la nostra, sempre in preda a qualche invasore, un popolo che è stato dominato per secoli da una Chiesa retrograda e repressiva e sessuofobica. Non sto parlando di Gesù e del Vangelo, che per me sono stati la più grande rivoluzione della storia, ma di quello che la Chiesa è diventata dopo, trasformandosi in un impero, con i suoi eserciti, i suoi tribunali speciali, il suo spionaggio interno, la sua pena di morte, la sua tortura, ecc. Gesù si sarebbe rivoltato nella tomba.L’8 luglio verrà proclamato il vincitore del premio Strega 2016. Ha ancora senso questa manifestazione? Cosa pensa dei libri di questa edizione?Lo Strega è uno dei più antichi premi italiani e io ci sono affezionata. Ci sono passati tutti i maggiori scrittori italiani e questo è un segno di qualità. In un Paese in cui si legge così poco, ben vengano i premi che hanno la funzione di far conoscere l’attività narrativa. Forse da ultimo è diventato troppo dipendente dai tempi della televisione e forse il numero di votanti è eccessivo e mi risulta che pochi leggono i libri in concorso. Detto questo, però, anche quest’anno il livello mi sembra molto buono.