Il Brexit provoca una ondata di sfiducia (che domani potrebbe trasformarsi in panico) che investe le economie, le borse ed in particolare il sistema bancario europeo. Le banche italiane sono investite dalla tempesta in modo più severo delle altre. Il mercato le percepisce come più fragili.In parte questa percezione è il riflesso dell’elevato debito pubblico italiano. La Bce ha messo in sicurezza, in un certo senso, il debito pubblico degli stati. La speculazione si volge allora contro le banche dei paesi più fragili e che detengono quote elevate di debito pubblico. Vediamo qui l’effetto perverso del fatto che l’Unione Bancaria ancora è incompleta. Bisogna completarla il più presto possibile. Sarebbe l’inizio di una risposta coraggiosa al Brexit.Non possiamo però chiudere gli occhi davanti al fatto che le nostre banche sono effettivamente più fragili di altre banche europee ed il Brexit aggrava una situazione preesistente di difficoltà. La ragione è semplice. Nella crisi scoppiata nel 2007 e continuata negli anni successivi la Unione Europea ha reagito riconoscendo agli stati membri il diritto di intervenire massicciamente per risanare i bilanci delle loro banche. A questo diritto è stato posto però un limite temporale inderogabile. Passata la data limite ogni aiuto di stato alle banche doveva cessare e le banche avrebbero dovuto far fronte alla prossima crisi esclusivamente con risorse proprie, cioè con il capitale degli azionisti delle banche ed anche con quello degli obbligazionisti subordinati (è il cosiddetto bail in). Alcuni paesi europei (es, la Germania) hanno fatto largo uso di questa possibilità ed hanno potentemente rafforzato il loro sistema bancario. Altri (es. la Spagna) non solo hanno rafforzato le loro banche ma lo hanno anche fatto usando non risorse loro ma risorse dell’Unione. Certo, hanno dovuto accettare, in cambio, un controllo intensificato della Commissione sulla loro finanza pubblica (la famigerata "troika"). L’Italia non ha fatto né l’una né l’altra cosa. Con la situazione di finanza pubblica che avevamo non ci potevamo permettere un risanamento con le risorse proprie e d’altro canto non volevamo accettare a nessun costo la famigerata "troika". Le nostre banche, inoltre, erano, fra quelle europee, quelle messe meglio (o meno peggio) e quindi potevamo anche dire: le nostre banche non hanno bisogno di misure straordinarie di sostegno.Il risultato è stato che il nostro sistema bancario è stato esposto alla competizione sleale con altri sistemi bancari risanati e potentemente rafforzati con massicce iniezioni di denaro pubblico. La crisi economica ha poi messo in difficoltà le nostre banche con il progressivo accumularsi dei crediti incagliati. Per dirla in breve: eravamo il sistema messo (quasi) meglio, siamo diventati il sistema messo (quasi) peggio. Avendo lasciato scadere senza fare nulla il termine che la Commissione aveva dato per approvare misure di sostegno alle nostre banche adesso non possiamo più fare nulla per sostenerle. È ingiusto ma non ci possiamo lamentare: la colpa è soprattutto nostra.Adesso però interviene un fatto nuovo. Il Brexit genera una nuova crisi di grandi proporzioni. Nigel Farage apertamente auspica (e invita) una grande ondata speculativa che forzi l’Italia ad uscire dall’euro. Se questo avvenisse il danno sarebbe gravissimo non solo per l’Italia ma per tutta l’Unione. La stessa direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive, Direttiva sul risanamento e la liquidazione delle banche) che ci ha fino ad ora implacabilmente impedito qualunque intervento a sostegno delle nostre banche prevede però, all’articolo 32 d., la possibilità di un intervento pubblico in caso di gravi perturbazioni finanziarie non addebitabili a colpa dello stato membro. Questo è esattamente il caso con il quale abbiamo a che fare. L’Italia potrebbe (ed a mio avviso dovrebbe) chiedere una moratoria di sei mesi per mettere in sicurezza il proprio sistema bancario attraverso l’applicazione dell’articolo 32 d. E dovrebbe chiederne una applicazione particolarmente generosa in considerazione del fatto che non ha fatto quasi nessun uso della precedente finestra di opportunità che gli altri stati hanno usato per rafforzare i loro sistemi bancari. Essi appaiono più forti e competitivi del nostro solo perché hanno subito di recente una cura ricostituente pagata dal denaro pubblico di cui le banche italiane invece con hanno potuto fruire. In altre parole: molte banche europee hanno fruito, nel recente passato, di potenti aiuti di stato ed hanno avuto quindi un vantaggio competitivo indebito ed ingiustificato. La concorrenza è stata falsata a danno delle banche italiane. Ci si offre adesso una occasione per riparare a questa ingiustizia.La Cancelliera Merkel ha detto di recente che non si può cambiare la normativa europea sulle banche ogni due anni. Ha perfettamente ragione. Ai patti sottoscritti liberamente bisogna dare esecuzione. Il governo italiano non deve chiedere sconti ma chiedere la puntuale esecuzione della normativa europea. Deve chiedere che abbia celere e puntuale esecuzione l’accordo raggiunto sulla unione bancaria. Deve chiedere che si applichi la clausola contenuta nella Brrd per le situazioni di emergenza. O qualcuno vuole negare che il Brexit sia una situazione di emergenza?