Niente di fatto. L’esito delle elezioni politiche in Spagna, le seconde in sei mesi, ripropone le stesse percentuali del voto di dicembre, solo leggermente ritoccate in favore del Partito Popolare del premier uscente Mariano Rajoy, che con il 33% delle preferenze guadagna 13 seggi ed elegge 137 parlamentari. Abbastanza per essere il primo partito ma troppo pochi per governare, visto che per la maggioranza assoluta servono 176 deputati. Gli elettori spagnoli, dunque, hanno preferito di nuovo la sicurezza dell’intramontabile leader del Pp all’inedita avventura di Podemos, restituendo però il quadro di un Paese spaccato in tre pezzi, che ripiomba nello stesso stallo delle elezioni del 2015 e senza una concreta ipotesi di governo stabile.Lo sconfittoSfuma il sogno degli Indignados di diventare il primo partito della sinistra e Pablo Iglesias, leader del partito “viola” Podemos, ammette la sconfitta. I sondaggi gli avevano fatto pregustare un’ipotetica coalizione Podemos-Partito socialista e addirittura il ruolo di primo ministro, ma lo scrutinio lo ha fatto tornare con i piedi per terra: il suo partito, alleato con i comunisti di Izquierda Unida, si è fermato a 71 seggi e il 21,1%, risultato simile a quello di dicembre. Sufficiente a mandare definitivamente in soffitta il tradizionale bipartitismo spagnolo e a tenere sotto scacco il Congresso, ma non certo a governare. Il terzo posto - Podemos segue il Partito socialista che ha preso il 22,7% - «Non era il risultato che ci aspettavamo, ma il processo di cambiamento iniziato nel 2011 non finirà», è stato il primo commento di Iglesias, che si è detto preoccupato «per la perdita di voti del blocco progressista e l’aumento di consensi per quello conservatore». In altre parole e per stessa ammissione del leader viola, la Spagna impaurita vira sempre più a destra e l’ascesa di Podemos sembra essersi bruscamente arrestata, infranta contro il blocco dei partiti tradizionali.Il vincitore«Rivendichiamo il diritto di governare, perchè abbiamo vinto», sono le prime parole del leader conservatore Mariano Rajoy, premier uscente e vincitore di questa nuova tornata elettorale. I suoi Popolari tengono e anzi aumentano il consenso - passando dal 29% di dicembre al 33% e conquistando tutte le regioni tranne Catalogna e Paesi Baschi - ma rubano voti soprattutto ai partiti moderati minori e comunque rimangono lontani da una maggioranza stabile di governo.«Parliamo con tutti» è il secondo annuncio. Un riferimento chiaro a quella che è ormai da mesi la linea del primo ministro, che per governare punta ad una larga maggioranza programmatica che abbracci anche i socialisti, con l’obiettivo di dare al paese stabilità, soprattutto in ottica europea.La gran coalicionAgo della bilancia, dunque, torna ad essere il partito socialista di Pedro Sanchez, che resiste all’onda d’urto di Podemos precognizzata dai sondaggi e rimane il secondo partito spagnolo, con 85 seggi (5 in meno rispetto al voto di dicembre 2015). I socialisti, che i media iberici avevano dato per cannibalizzati dagli Indignados, hanno retto, pur incassando il loro peggior risultato storico: li Psoe, infatti, è stato superato dai popolari anche nella storica roccaforte rossa dell’Andalusia. Già in dicembre, in cui la distanza tra Pp e socialisti era inferiore, Rajoy aveva proposto a Sanchez una “Gran coalicion” sul modello tedesco, e l’ipotesi torna sul tavolo all’indomani della nuova tornata elettorale. I 137 seggi dei popolari, sommati agli 85 dei socialisti e ai 32 dei Ciudadanos, darebbero vita ad una larga maggioranza con i numeri per governare. La risposta di Sanchez, per ora, rimane il netto «no» già pronunciato in dicembre, che non aiuta a sciogliere l’impasse in cui si è impaludato il Paese.L’alleanza rossaAncora più remota rimane l’alleanza progressista precognizzata in fase elettorale, quando ancora i sondaggi davano Podemos col vento in poppa. L’asse Podemos-Psoe, infatti, si fermerebbe a 156 seggi, lontanissima dalla maggioranza assoluta di 176, possibile solo grazie all’appoggio - improbabile -dei nazionalisti baschi del Pnv (5 seggi) e degli indipendendentisti catalani di Cdc e Erc (17 seggi). «Ho scritto un messaggio a Pedro Sanchez per parlare alla luce di questo risultato e non ho ancora ricevuto risposta - ha fatto sapere il leader di Podemos, Pablo Iglesias - Rimango convinto che sia sensato riuscire a dialogare e lavorare insieme a partire dal terreno comune, condividiamo infatti un modello sociale opposto a quello attuato dal governo dei popolari». Una mano tesa che però è stata implicitamente rifiutata da Sanchez, il quale ha ammesso di «non essere soddisfatto del risultato del suo partito, che pur rimane il primo partito della sinistra spagnola» e ha attaccato Iglesias, colpevole di aver favorito la destra già lo scorso dicembre, con la sua decisione di non entrare nel governo di coalizione insieme a Psoe e Ciudadanos.Uno stallo infuocato, dunque, in cui l’unico vero vincitore incoronato dall’esito alle urne rimane il partito popolare di Rajoy.