Se per il marò Salvatore Girone è finita l’odissea della detenzione indiana, ce ne sono altri 3000 italiani detenuti all’estero che si stanno confrontando con sistemi legali che non contemplano nemmeno i più elementari diritti e garanzie. Con la differenza che non hanno nessun riflettore mediatico puntato. Il caso più recente riguarda il milanese Cristian Giuliano Provvisionato che da più di otto mesi vive recluso nel carcere della Mauritania. Recentemente ha scritto al Presidente della Repubblica per chiedergli “con tutto il cuore un intervento per farmi rientrare in Patria il più presto possibile”. Nella lettera l’uomo ricostruisce la sua vicenda, spiegando di essere tenuto agli arresti per reati mai commessi.Provvisionato racconta di essere stato mandato in Mauritania nell’agosto scorso dall’azienda per cui lavorava, che opera nel campo delle investigazioni private, per sostituire un altro italiano che doveva rientrare in Italia. Il compito doveva essere quello di fare una dimostrazione di alcuni prodotti di una società straniera al governo mauritano. In realtà, scrive, “sono stato mandato con l’inganno per togliere da una brutta fine l’altro italiano”, perché la società straniera aveva probabilmente truffato il governo mauritano. Ma, si legge nella lettera, “il governo mauritano si ostina a tenermi in detenzione anche davanti all’evidenza che sono parte lesa come loro in questa vicenda. È un fatto gravissimo: sono l’unico agli arresti mentre tutti i veri responsabili di questa truffa sono liberi. Provvisionato sottolinea che, nonostante tutti gli sforzi della Farnesina e dell’ambasciata italiana di Rabat, “c’è un muro da parte delle autorità mauritane che non vuole cedere”. E invoca quindi l’intervento di Mattarella “contro questa gravissima ingiustizia”. E finisce con una supplica rivolta al capo dello stato: “La prego di fermare tutto questo prima che si trasformi in una tragedia, ho già perso 25-30 kg, non posso curarmi come dovrei, non posso sostenere le giuste visite mediche per il diabete, inizio a temere seriamente per la mia salute”.I dati dei detenuti italiani all’estero sono inquietanti. Il ministero degli Esteri ha messo a disposizione gli ultimi riguardanti l’anno 2015. Risulta un totale di 3.309 reclusi all’estero di cui 2.602 in attesa di giudizio, 671 stati condannati e 36 in attesa di estradizione. Il dato più curioso è che il record della detenzione degli italiani all’estero  ce l’ha la Germania: un totale di 1.229 detenuti, tra i quali ben 1.087 sono in attesa di giudizio e 123 condannati definitivamente. Nel resto del mondo, il maggior numero dei detenuti si trova in Brasile con 75 italiani reclusi in condizioni a dir poco degradanti; al secondo posto ci sono gli Usa con un totale di 68 detenuti.Dal dossier emerge comunque un dato sconcertante: più della metà sono in attesa di giudizio e risultano poche decine le persone in attesa di essere estradate in Italia per scontare la pena nei nostri penitenziari, condizione che dovrebbe essere garantita dalla "Convenzione di Strasburgo" del 1983 e da diversi "Accordi bilaterali" nei casi che riguardano le persone già condannate. In molti casi gli italiani non hanno nessun diritto per un equo processo. Basti pensare che in alcuni paesi è negata l’assistenza di un avvocato, non è presente un interprete durante gli interrogatori e frequentemente le autorità non fanno trapelare nessuna notizia in modo tale che è impossibile farsi un’idea dettagliata del processo.C’è il caso emblematico avvenuto in India. Ovvero quello riguardante Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni che - dopo cinque anni di calvario perché condannati all’ergastolo - sono stati liberati e fatti rientrare l’anno scorso in Italia. Furono accusati di omicidio nei confronti di Francesco Montis, il loro compagno di viaggio. La tragedia ebbe inizio il 4 febbraio del 2010 quando i tre, di passaggio nell’hotel Buddha di Chentgani, fecero uso di droghe e Francesco si sentì male. I due lo portarono in ospedale ma Francesco morì. Il responso dell’autopsia fu fatale: morte per soffocamento. A nulla valsero le dichiarazioni della madre di Francesco che avrebbero potuto scagionarli: il figlio soffriva di gravi crisi d’asma. Quando poi venne chiesto un secondo esame autoptico, non fu possibile eseguirlo perché l’obitorio era infestato dai topi e così il corpo di Montis venne cremato. I due vennero incarcerati il 7 febbraio 2010 e dopo un anno di detenzione il pubblico Ministero chiese la condanna a morte per impiccagione. A luglio del 2011 la pena venne convertita in ergastolo e confermata poi nel settembre 2012. Da quel giorno i due aspettavano la sentenza della Corte Suprema di Delhi che per lentezza dovuta ad assenze e rinvii, non arrivava mai. Nel frattempo i due italiani sono stati reclusi nel carcere di Varanasi in condizioni precarie: i barak, ospitano circa 140 detenuti con temperature che arrivano a 50 gradi. Costretti a bere acqua non potabile, senza alcun contatto con il mondo esterno. Solo quest’anno la sentenza della Corte suprema li ha scarcerati perché dichiarati innocenti.Negli Usa c’è il celebre caso di Enrico Forti, condannato all’ergastolo con l’accusa di omicidio. Il suo calvario inizia la mattina del 16 febbraio del 1998 quando, in una spiaggia della Florida, viene ritrovato il corpo senza vita di Dale Pike. Di questo omicidio viene accusato Forti, che era in trattativa con il padre di Dale per l’acquisto di un albergo. Nonostante si sia sempre dichiarato innocente e le prove a suo carico siano inconsistenti, la giuria americana lo ha condannato all’ergastolo affermando che “ La Corte non ha le prove che Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che sia stato l’istigatore del delitto “.E non mancano i casi di morte sospetta come la terribile storia di Mariano Pasqualin, un giovane di Vicenza arrestato per traffico di droga nella Repubblica dominicana nel giugno del 2011. Dopo pochi giorni dal suo arresto, è stato ritrovato morto in circostanze molto sospette. La famiglia aveva richiesto di far rientrare la salma in Italia per effettuare un’autopsia che svelasse le cause del decesso, ma le autorità della Repubblica dominicana avevano, senza autorizzazione, deciso di cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri. E la possibilità di fare luce sul caso è svanita definitivamente.Altro terribile caso di morte è la storia di un italiano che era recluso in Messico. Si tratta del bancario leccese Simone Renda che morì nel 2007 in una cella di Cancun, dopo essere stato arrestato per un banale episodio di ubriachezza molesta. Dapprima ricattato dalla polizia, fu rinchiuso poi in una cella rovente senza possibilità di accedere ad alcuna assistenza né legale né medica. Morì per disidratazione dopo due giorni di privazioni e violenze. Si era tentato di fare un processo in Italia per omicidio nei confronti del giudice, il responsabile dell’ufficio ricezione del carcere, tre guardie carcerarie, due vicedirettori del carcere e due agenti della polizia turistica, tutti messicani. Ma a causa della loro irreperibilità il processo ancora non è partito.Non mancano gli italiani reclusi per il reato di immigrazione clandestina. Ci sono Paesi - con rigide norme contro l’immigrazione - dove gli italiani non solo rischiano di essere espulsi, ma rischiano l’incriminazione proprio come avviene nei nostri confini in esecuzione della legge 94 del 2009: la metà circa degli italiani reclusi per immigrazione clandestina si trova in carceri europee, il 25% in America e il 22% in Asia e Oceania.