Ese Renzi perde il referendum? L’interrogativo, derubricato a gioco di società fino a qualche settimana fa, dopo i ballottaggi amministrativi e il successo grillino a Roma e Torino, ha improvvisamente riacquistato corposità e concretezza. La Santa Alleanza, come il premier chiama il composito fronte dei sostenitori del No, dati elettorali alla mano è senz’altro più forte, mentre il Sì renziano è scosso e pervaso di incertezze. Il presidente del Consiglio, com’è nel suo carattere, non arretra di un millimetro e si dice sicuro di vincere la consultazione popolare di ottobre. Ma se così non fosse, cosa succederebbe? Quale scenario diventerebbe più probabile? Per provare a capirlo bisogna naturalmente partire proprio da Renzi; dalla promessa fatta in tempi non sospetti di dimissioni e ritiro dalla vita politica. Non è chiaro - nè Matteo l’ha mai chiarito: evidentemente ritiene l’ipotesi praticamente inesistente - se la promessa vale anche per la segreteria Pd: facciamo conto di sì e procediamo. Senza più leadership e con il suo popolo in confusione, i Democrat sarebbero costretti a fare un passo indietro. La palla, a rigore di Costituzione, passerebbe al capo dello Stato. In condizioni normali, ci sarebbero gli estremi per lo scioglimento anticipato delle Camere. Stavolta però non si può: manca la legge elettorale. L’Italicum infatti vale solo per la Camera; per il Senato - che con la bocciatura del referendum resterebbe com’è ora - si dovrebbe votare con il Consultellum, ossia con il moncherino del Porcellum così come emendato dalla Corte Costituzionale. Due leggi elettorali per due Camere: una iper maggioritaria; l’altra iper proporzionale.Ovvio che in questa situazione Sergio Mattarella tutto potrebbe fare tranne che indire elezioni anticipate, pena una certificata ingovernabilità. Perciò bisognerebbe varare un nuovo governo con sostanzialmente un solo punto di programma: fare una nuova legge elettorale, oltre che tenere sotto controllo i conti pubblici che a quel punto tornerebbero nella bufera dei mercati e della speculazione: ricordate lady Spread?Il punto è: chi potrebbe guidare un esecutivo siffatto? La strada del presidente “tecnico” è preclusa: di Mario Monti ce n’è uno, e in tanti lo dicono tirando un sospiro di sollievo. Ma anche un incarico “politico” troverebbe difficoltà non trascurabili. Il Pd, infatti, molto difficilmente - per non parlare di assoluta indisponibilità - potrebbe accettare un altro premier dopo l’addio di Renzi. Anche se si trattasse, per dire, di un personaggio del calibro di Walter Veltroni, sempre che l’ex capo dei ds si mostrasse disponibile: e non è per nulla detto. Idem per ipotesi in subordine tipo Dario Franceschini. Se però il presidente del Consiglio non fosse un pd, tanto meno potrebbe essere esponente, a maggior ragione se di spicco, di un altro partito della coalizione. O, peggio, di una forza politica attualmente all’opposizione come i Cinquestelle. Dove troverebbe i voti necessari? Potrebbe forse votarlo il centrodestra senza spaccarsi? O potrebbe il Pd concedere fiducia al suo antagonista principale? La risposta più plausibile è un no in entrambi i casi.Dunque non resterebbe che un incarico “istituzionale”: un governo del Presidente (inteso come inquilino del Quirinale) a carattere emergenziale per superare l’impasse. Non che pure in questo caso il nodo dei voti in Parlamento scomparirebbe. Tutt’altro. Ma immaginando un sussulto di senso di responsabilità, quel tornante potrebbe essere superato. Resta il quesito principale: chi a palazzo Chigi? Per un governo istituzionale, il candidato naturale è il presidente del Senato: Piero Grasso, ex procuratore nazionale antimafia. Grasso è sufficientemente autorevole per raccogliere consensi bipartisan. Ma potrebbe scontare il fatto di essere stato a suo tempo frutto di una iniziativa di Pierluigi Bersani. In subordine, la scelta potrebbe cadere sulla presidente della Camera, Laura Boldrini. Una donna premier sarebbe una novità assoluta: troppo?Meno praticabili al momento appaiono scelte fuori dal Palazzo.  Ignazio Visco, presidente di Bankitalia, avrebbe dalla sua l’indiscutibile prestigio della carica e la rassicurazione che porterebbe sui mercati. Ma una strada del genere avrebbe troppo i caratteri della scelta “tecnica”: per cui, vedere sopra. E poi se davvero si dovesse marciare verso una simile prospettiva, il nome più solleticante di tutti sarebbe quello del presidente della Bce, Mario Draghi.  Ecco: se tutto lo scenario complessivo esprime una sensazione di fantapolitica (anche se fino ad un certo punto), la strada che dovrebbe portare a Draghi diventerebbe come il viaggio verso un’altra galassia. Affascinante, ma allo stato pura speculazione teorica.