I ballottaggi hanno confermato le tendenze espresse dal voto di quindici giorni fa: vittoria netta dei Cinque stelle, sconfitta netta del Pd, risultato non positivo ma neppure drammatico per la destra berlusconiana. Detto in termini un po’ più generali, forte affermazione della spinta populista, che in tutto l’Occidente sta mettendo in discussione molte certezze della stabilità politica. C’è chi dice che stia minacciando addirittura la democrazia politica classica, e può darsi che sia così, ma questo è un discorso più complesso e ha una dimensione che comunque supera la dimensione nazionale.Intanto però possiamo porci alcune domande - tutte dentro la politica italiana - su alcune questioni cruciali.1) La vittoria dei grillini - travolgente in città decisive come Roma - avrà come conseguenza quella di uno spostamento dei partiti tradizionali su posizioni più grilline, cioè più populiste, o invece - al contrario - la necessità di misurarsi col problema di governare le grandi città spingerà i Cinque stelle a spostare il loro populismo, rendendolo compatibile con i nuovi compiti che si assumono, e dunque più concreto, meno gridato, meno demagogico? Diciamo pure: meno populista.2) Esiste un populismo di governo? Cioè è possibile coniugare le spinte essenziali del populismo (l’antipolitica, il giustizialismo, l’anti-intellettualità, il giovanilismo, l’idiosincrasia per la storia e per la mediazione, il complottismo, la leggenda metropolitana) con le ragioni della governabilità?Finora, nei grandi paesi occidentali non è mai successo che una forza autenticamente populista (e quindi non collegata a grandi interessi, o a grandi poteri, o a una classe sociale di riferimento potente e insediata socialmente) fosse chiamata a governare. Ora questa possibilità si avvicina. I Cinque stelle dovranno governare Roma, Torino e un’altra ventina di comuni e si candidano alla guida del paese con ottime possibilità di vittoria, se resterà la legge elettorale Renzi- Boschi.3) Il giustizialismo, che è uno dei pezzo forti dei Cinque stelle, può restare intatto di fronte all’attivismo di alcune Procure che difficilmente rinunceranno a influire sulla vita politica, e in particolare su quella delle amministrazioni locali? Prendiamo il caso di Roma. Marino sicuramente è stato cacciato da una iniziativa molto forte della stampa, è vero, ma il “recapito”, al momento giustissimo, di un paio di avvisi di garanzia ben studiati dalla Procura di Roma è stato di grande aiuto, no? Ora chiunque abbia seguito un pochino le vicende politiche di regioni e Comuni degli ultimi anni sa benissimo che per un sindaco o un presidente di regione che operi in presenza di una di quelle Procure - come dire? - un po’ ”protagoniste”, è assai difficile (anche se è un’ottima persona) evitare un avviso di garanzia. Che sia per una cena pagata con la carta di credito sbagliata (tipo Marino) magari una roba di 200 euro, che sia per un abuso d’ufficio - che non si nega proprio a nessuno - o per l’assunzione di qualche precario, o per un temporale non previsto, o per aver promesso, magari, qualche posto di lavoro, nessun amministratore può stare tranquillo. Ne sanno qualcosa proprio i Cinque stelle, che su tre sindaci che avevano eletto finora in città medio-grandi ne hanno ben tre, cioè tutti, colpiti da una indagine penale.Ora il problema è che finché è Parma, o Livorno, passi. Ma se lo scandalo si apre a Roma o a Torino nessuno ti perdona. E poi a questo punto le città amministrate dai grillini sono parecchie, e non è che tra i Pm ci siano solo fans di Grillo, c’è anche una bella pattuglia alla quale il Pd non dispiace, e può darsi che vogliano dargli una mano, no?E allora forse sarebbe il caso che le varie forze politiche -Cinque stelle compresi - facessero un patto, scordandosi il passato. E cioè stabilissero che siccome una amministrazione comunale, specie se di una grande città, è scelta da molte migliaia di cittadini (o anche centinaia di migliaia) e un Pm, invece, è solo un pm ed è solo un pm, allora, d’ora in poi, quando arriva un avviso di garanzia nessuno si dimette: si aspetta il rinvio a giudizio, e poi il processo, e magari l’appello e la Cassazione. E che questa regola vale per tutti, non solo per i grillini (come è stato sin qui), perché in democrazia, purtroppo, non si possono fare regole diverse a seconda del partito di appartenenza. E l’impegno deve essere non solo quello che non ci si dimette - e, per esempio, Graziano torna ad assumere la segreteria regionale del Pd della Campania - ma anche che nessuno del partito avversario chiede le dimissioni.4) Questa però non è una domanda ma un’osservazione. Se si dovesse arrivare a siglare un patto di questo genere, naturalmente, sarebbe un guaio per tutti. Dal momento che negli ultimi anni - diciamo, più o meno, dal 1992 in poi - la lotta politica in Italia, tranne poche eccezioni (lo scontro col sindacato) è avvenuta tutta attorno a vicende giudiziarie o a leggi da riformare per rendere più semplici e frequenti le azioni giudiziarie... è chiaro che abolire dall’agenda della lotta politica l’avviso di garanzia costringerebbe tutti a riprogrammarsi e ad iniziare a pensare politica, progetti, idee, e a lottare su problemi che riguardano i diritti, i rapporti sociali, l’organizzazione dell’economia: cose assai complicate, delle quali, magari, l’attuale ceto politico sa pochissimo. E’ un bel problema, capisco, però andrà affrontato.