Ora magari lo accuseranno anche di aver detto a Federico Geremicca su La Stampa di preferire a “Lucifero” il termine “Belzebù”, semmai lui avesse voluto fare davvero un endorsement - duramente smentito - alla pentastellata Virginia Raggi, candidata a Roma. Belzebù è il soprannome che Bettino Craxi affibiò a Giulio Andreotti. Magari lo accuseranno ora anche di essere diventato “craxiano post mortem”. Come lo stesso D’Alema definì una volta, in una delle sue spettacolari battute, l’ex socialista lombardiano Fabrizio Cicchitto. Ma, in realtà, fin dai tempi della Bicamerale e dei “Dalemoni”, e figuriamoci della caduta di Romano Prodi, nel 1998, e poi della guerra in Kosovo, è lui stesso, Massimo D’Alema, ad essere considerato una sorta di “Lucifero” o “Belzebù” in ambienti della sua stessa sinistra. Il primo e finora unico ex comunista diventato (senza elezioni come Matteo Renzi) presidente del Consiglio, per certa sinistra non solo ex Pci ma anche ex Dc, sarebbe stato reo innanzitutto di aver cercato di fare le riforme con “il diavolo” (e non solo nel senso del Milan) Silvio Berlusconi, con il quale poi però ha riprovato a tentare il dialogo anche Renzi. Con una differenza oggettiva però: D’Alema lo fece in Parlamento e quasi in diretta “streaming”; Renzi dentro una stanza di Largo del Nazareno. In realtà D’Alema è stato sempre considerato un uomo scomodo soprattutto a sinistra. Anche i pochi fedelissimi (tutti decorati da lui con prestigiosi incarichi) lo hanno quasi tutti abbandonato: il vicecapogruppo dei senatori Pd, Nicola Latorre, è divenuto renziano quasi subito; Marco Minniti, sottosegretario a Palazzo Chigi da quel dì che lo ha lasciato, solo per citare due casi di ex dalemiani ancora nelle istituzioni. Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi, non perdono occasione di sferzarlo. Velardi uno dei Lothar (come Latorre e Minniti) di Palazzo Chigi addirittura scrive cose che suonano al limite dell’insulto. Cosa che lo avrà sempre particolarmente ferito, essendo D’Alema uomo di sinistra (riformista) fino al midollo.Paradossalmente lo rispettano di più gli avversari del centrodestra e Forza Italia, soprattutto. Gianni Letta e il Cav, si dice, rimasero quasi di stucco quando durante i giorni infuocati della penultima elezioni del Capo dello Stato, Pier Luigi Bersani, allora leader del Pd, avrebbe opposto loro un no secco proprio su “Massimo”. Ora “spazzaferro” (uno dei tanti soprannomi di D’Alema) viene attaccato anche da Matteo Orfini. Il presidente del Pd e commissario dem a Roma, cresciuto a pane e D’Alema, lo ha con piglio severo invitato a smentire cose che però lui, come risulta agli stessi lettori, a La Repubblica, in un retroscena con frasi di anonimi dalemiani, non ha mai detto. Altra cosa l’intervista bombastica da lui data un paio di mesi fa a Il Corriere della sera, dove praticamente già lasciava intendere che al referendum costituzionale di Ottobre avrebbe votato no. L’ex premier è uno abituato a metterci sempre la faccia. In questo, che a lui piaccia o no, molti lo considerano speculare a Berlusconi. Lui giudicato “il complottista” per eccellenza, «in realtà è buono come il pane», dice a Il Dubbio, forse un po’ esagerando, chi gli vuole molto bene dentro la minoranza del Pd. E assicura: «Se Massimo avesse voluto fare un endorsement per Raggi lo avrebbe fatto pubblicamente, ci avrebbe messo la faccia». A difenderlo su la stessa Repubblica è stato il bersaniano Davide Zoggia, ex presidente della Provincia di Venezia: «Il vertice dem è in cerca di qualche capro espiatorio». E’ la stessa cosa che dice il medesimo D’Alema a La Stampa.Ma il D’Alema pensiero è contenuto in modo ancora più dettagliato e articolato in una lunga nota, in cui ribatte a tutte le accuse. Premette: «Continuo a leggere su di me falsità, forzature e valutazioni o prese di posizioni pubbliche riportate come se si trattasse di trame e complotti. Qualsiasi persona di buon senso capisce che, se si vuole sostenere un candidato sindaco, lo si fa con dichiarazioni e iniziative pubbliche, non con battute sul pianerottolo». Il riferimento è al pianerottolo “galeotto” della Fondazione Italianieuropei dove D’Alema avrebbe scherzato, come solo lui sa fare, con battute anche esilaranti, con un gruppo di storici, compresi quelli della Fondazione “Magna Charta” di Gaetano Quagliariello, fondatore di “Idea”, area centrodestra. Ma lì nella gran parte erano storici di sinistra, alcuni, si narra, da lui stesso allevati. Ed è proprio su questi che ora si appunterebbero i sospetti su chi sia la vera fonte di “Rep”.Ma stiamo alle parole di D’Alema: «La volontà, per esempio, di impegnarni nella campagna referendaria (per il No ndr) è stata annunciata più volte, l’ultima una ventina di giorni fa anche a Brindisi in una manifestazione pubblica, di cui gira anche un video. Ho ritenuto, tuttavia, di evitare pronunciamenti proprio per non provocare polemiche e strumentalizzazioni, in vista delle amministrative, invitando a concentrarsi sui ballottaggi di domenica prossima». E ancora: «Non ho tenuto alcuna riunione con la dissidenza socialista, di cui ignoro l’esistenza. E’ passato a trovarmi Bobo Craxi (figlio dello statista socialista, Bettino ed ex sottosegretario agli Esteri di D’Alema alla guida della Farnesina ndr) che è un vecchio amico, non ho tenuto alcuna riunione di fedelissimi né in Puglia, né in particolare a Bari. In Puglia sono stato invitato a fare la campagna elettorale del Pd». D’Alema, secondo Repubblica, punterebbe sul governatore Michele Emiliano come possibile sostituto di Renzi. Ma, nella minoranza dem, smentiscono seccamente con Il Dubbio: «Il punto è che Renzi, attraverso i suoi, avrebbe fatto in questa ultima settimana di campagna elettorale l’invito a Repubblica a attaccare in modo sempre più forte i Cinque Stelle e prefigurare già da ora alibi e capri espiatori della possibile sconfitta sopratutto a Roma». Ma che Giachetti sia «un candidato debole» D’Alema lo ha già detto pubblicamente un mese fa su “La 7”. Quanto, all’accusa che gli viene mossa di aver fatto pressione su Tommaso Montanari perché facesse parte di una eventuale giunta a guida pentastellata, D’Alema chiarisce: «Non ho esercitato alcuna pressione su Montanari di cui sono amico e estimatore. Lui mi ha chiesto un consiglio e io ho ritenuto di dirgli che un suo impegno per Roma sarebbe certamente positivo per la città».Bobo Craxi a Il Dubbio: «Che D’Alema ed io ci siamo visti non è una notizia. Abbiamo la stessa opinione critica sul governo Renzi e lo stesso impegno per il No al referendum. Ma, voglio sottolineare che mai e poi mai ho sentito dire da D’Alema che vuole appoggiare la Raggi». E’ una “non notizia”, ma, dicono nella minoranza dem: «Il solo fatto che abbiano accostato il nome di Massimo al cognome Craxi, ancora tanto avversato a sinistra, è stato un po’ come mettere a D’Alema un dito in un occhio. Ma se domenica 19 perdiamo di brutto (e speriamo davvero di no perché ovunque stiamo lavorando pancia a terra per il Pd) a Roma o anche a Milano, costringeremo Renzi a un’analisi impietosa, tornando a invitarlo a scegliere: o fa il segretario o il premier». Giorni fa, lo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd, area Giovani Turchi) a “La Treccani” - durante la presentazione dell’ultimo libro di Emanuele Macaluso «Un anno di Emm. ma su Facebook» di Beppe Provenzano e Sergio Sergi – ha messo in guardia sulla necessità di dedicare più attenzione ai cosiddetti “corpi intermedi”. Quei sindacati innanzitutto che Renzi secondo i suoi critici intende bypassare. Un po’ come D’Alema, spesso in giro per il mondo in veste di presidente della Fondazione di studi europei del Pse. Per sua stessa ammissione, tutto può fare tranne che dimettersi da se stesso.