«Pit stop, cambio gomme e ora è pronto a tornare in pista». Liquida così, Maurizio Gasparri, la malattia di Silvio Berlusconi, che ieri è uscito dal reparto di terapia intensiva ed è tornato nelle sue stanze per i cinque giorni di convalescenza. Nessun cambio di leadership all’orizzonte, dunque, solo trepidante attesa del suo ritorno alla politica.Nessun cambio di assetto nel centro destra, quindi?Non solo non c’è, ma non ce n’è alcun bisogno. Il centrodestra procede senza esitazioni nella sua naturale direzione e non è alla ricerca di nuovi progetti di leadership o delfini, né presenti né futuri. Il partito, anzi, proprio in questi giorni di attesa si è dimostrato solido nella sua dirigenza, che sta rispondendo punto per punto alle scemenze del governo Renzi, come la pagliacciata di ieri del No Imu Day. Abbiamo molte iniziative in cantiere, utili a riportare la discussione sul piano dei contenuti e a sbugiardare la propaganda renziana.Nemmeno un margine di autocritica?Una riflessione potrebbe essere fatta: probabilmente Forza Italia avrebbe bisogno di strutturarsi di più come partito, per consolidare una struttura classica di dirigenza e di braccio operativo. Abbiamo un ottimo mix di esponenti giovani e meno giovani e abbiamo l’obiettivo di ritornare a dare risposte al nostro elettorato di riferimento, che forse ci ha percepiti un po’ appannati ma a cui vogliamo tornare a parlare.Eppure in questi giorni si è parlato di “cerchio magico” intorno al leader Berlusconi, che lo avrebbe condizionato e affaticato. Sono tutte speculazioni giornalistiche?Effettivamente alcuni gruppi interni a Forza Italia hanno dato la sensazione di essersi mossi senza la piena condivisione di tutti. Questo, però, è il momento per il centrodestra di compattarsi e di tornare alla normalità. Evitiamo un’inutile resa dei conti e valorizziamo la politica, su un modello inclusivo e organizzato.A proposito di modelli, la candidatura di Stefano Parisi a Milano, che domenica sfida al ballottaggio Beppe Sala, rappresenta il centrodestra a cui lei pensa?Assolutamente sì. Dirò di più: il paradigma di Parisi a Milano va applicato non solo alle amministrative, ma anche alle politiche. Milano rappresenta una vincente ricerca di sintesi nel centrodestra. Quando stiamo insieme vinciamo, quando invece prevale la spaccatura, come a Roma, l’errore ci marginalizza e non fa portare a casa risultati utili.Il tandem Meloni-Salvini non potrebbe rappresentare una nuova dimensione di centrodestra alternativo?Hanno dimostrato con i numeri di non poterlo essere. La divisione caotica di Roma e Torino ha portato a risultati inutili, per le città e per i due interessati. Il 20 per cento di Giorgia Meloni è del tutto velleitario, perchè rispecchia solo la situazione della Capitale. Nulla del genere è successo negli altri comuni del Lazio, per esempio, dove le percentuali sono a una cifra. Invece a Milano, dove Fratelli d’Italia e Lega Nord hanno corso insieme a Parisi, i risultati si sono visti. In altre parole, il centrodestra non è finito nelle mani di Salvini ed è ben chiaro quale sia e rimanga il partito su cui poggia la maggioranza dei moderati.Ma si tratta di una scissione netta o c’è un margine di recupero?Il modello a cui penso è quello più inclusivo possibile. Mano tesa verso tutti, dunque, soprattutto per quei gruppi che si sono persi per strada ma che rientrano naturalmente nell’alveo del centrodestra. Abbiamo dimostrato con i fatti che il paradigma vincente è quello di una larga alleanza in grado poi di fare sintesi. Le porte sono aperte, quindi. Se poi qualcuno preferirà continuare a sottolineare più le differenze che i tratti comuni, non possiamo certo impedirglielo.Una riscossa, quella che lei descrive, che parte proprio da Milano. La città rischia di diventare, insieme a Roma, il simbolo della battuta d’arresto per il premier Matteo Renzi, ma è ancora difficile immaginare quali saranno le conseguenze politiche. Lei vede un rapporto di causa-effetto tra il risultato delle amministrative e la tenuta del governo?Io mi auguro di certo che ci sia. Spero che gli italiani abbiano iniziato a scoprire i bluff propagandistici di Renzi e non si facciano più ammaliare dalle sue inutili lusinghe. Certo, sono anche consapevole che il suo logoramento sarà lungo e lento e non basteranno forse questi risultati a far cadere il governo. Sicuramente, però, si può dire che l’ascesa di Renzi si sia ora fermata del tutto, e con lui quella del suo esecutivo. Con una battuta, Renzi è passato dalla rottamazione alla dannazione, direttamente dal nome del senatore Vincenzo D’Anna di Ala, sul cui voto si regge l’attuale maggioranza. Fondamenta fragili, che con queste amministrative iniziano a vacillare.Per un centrodestra pacificato intorno al capezzale del leader, c’è un centrosinistra in cui volano stracci, veri o presunti. Da osservatore, che cosa sta succedendo dall’altra parte della barricata?Una probabile resa dei conti interna. Io conosco bene le idee dei vecchi dirigenti del Partito Democratico e tutti loro aspettano - silentemente o meno - il sonoro tonfo di Renzi. Per loro, il premier è sempre stato un usurpatore ed ora il dissenso si sta facendo più rumoroso. Tra tutti, Massimo D’Alema ha dimostrato di essere il più arrogante ma anche il più sincero, perchè ha dato voce a ciò che da sempre pensa la vecchia guardia della sinistra.