Matteo Renzi non è più sicuro di poter fare tutto da solo e - dopo aver evocato il lanciafiamme - manda segnali di apertura alla minoranza del suo partito. Ma anche agli alleati del Nuovo centrodestra. Il premier teme che le Amministrative possano trasformarsi in una disfatta per il Partito democratico e per la sua leadership, e sceglie un piatto appetitoso da servire sulla tavola della pace: l’Italicum. In cambio di un atteggiamento collaborativo dopo i ballottaggi, il segretario del Pd sembra disposto a non considerare più la legge elettorale come un feticcio intoccabile. Anzi, Renzi adesso racconta a Eugenio Scalfari di non essere mai stato «innamorato» di quella legge. «Avrei preferito il Mattarellum con strumenti per garantire la vittoria», dice il premier. L’importante è non indietreggiare sulla riforma costituzionale, il resto è sacrificabile. Una linea ribadita in qualche modo anche dal capogruppo della delegazione dem al Senato, Luigi Zanda: «Diteci con quale maggioranza parlamentare cambiare l’Italicum e ne parliamo», dice a Repubblica. «L’Italicum è il frutto del compromesso migliore. Personalmente avrei preferito, e preferisco, che la designazione dei parlamentari avvenga attraverso i collegi uninominali a un turno come nel Mattarellum, o a due turni, come nel sistema francese. Ma su questo punto il Pd è stato sempre isolato sia alla Camera che al Senato. Il Pd i voti in Parlamento per questo tipo di sistema elettorale non li aveva. Non chiudo a modifiche migliorative ma chiedo a chi le propone di indicare le forze parlamentari con cui possono essere approvate». Sull’Italicum, del resto, pende il giudizio della Consulta, che il 4 ottobre potrebbe bocciare la legge elettorale reputando incostituzionali il premio di maggioranza e i capilista bloccati. Meglio evitare inutili barricate, dunque.Ma dietro la ritrovata disponibilità al dialogo si celano i volti di Virginia Raggi e Chiara Appendino, le due candidate 5 stelle che mettono in affanno di Renzi e gli fanno dire: «Se vinciamo a Milano gestiamo tutto con tranquillità». Una frase che somiglia all’ennesimo azzardo del premier, visto che battere il volto nuovo del centrodestra, Stefano Parisi, è impresa tutt’altro che semplice. Il presidente del Consiglio, per la prima volta dall’inizio della legislatura, sembra confuso, sembra essersi esaurita la spinta della rottamazione che lo portò al trionfo delle Europee nel 2014. E per uscire dall’angolo, il capo del governo si appropria degli argomenti degli avversari: lotta alla “casta” dei senatori (per la battaglia referendaria) e proposta di un limite di due mandati per il premier (nella speranza di recuperare terreno ai ballottaggi).Anche Maria Elena Boschi capisce la delicatezza della situazione e si lancia nella crociata antigrillina polemizzando con Chiara Appendino, la sfidante torinese di Piero Fassino. «Se vincono i Cinque Stelle, a Torino non arriveranno i soldi del governo», dichiara la ministra a Sky riferendosi a un progetto per il quale i pentastellati avrebbero già rinunciato al finanziamento. La risposta della candidata non si fa attendere. «Mi stupiscono le spiegazioni della Boschi. Mi pare che il Pd tratti i soldi dei cittadini come se non fossero dei cittadini ma del partito. Non credo che un governo possa fare differenze in base al partito. Sarebbe un ricatto», dice Appendino che poco prima era stata attaccata su Twitter anche da Antonio Funiciello, portavoce del sottosegretario Luca Lotti: «Appendino è bocconiana. Come Sara Tommasi».In questa baraonda, Matteo Renzi rischia che la situazione gli sfugga di mano. E dentro al suo partito c’è già chi pensa al congresso. Come Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana già in corsa per la minoranza, che coglie la palla al balzo per avvisare il premier: «Vuole usare il lanciafiamme contro il Pd? Allora io mi metto la tuta di amianto». Sperando che nessuno rimanga scottato.