La riforma della geografia giudiziaria del 2012 è stata un terremoto che ha modificato il volto e i modi dell’accesso alla giustizia per i cittadini. Punti cardine del decreto legislativo, infatti, sono stati l’eliminazione di trenta tribunali, ridotti a 135, la soppressione delle sezioni distaccate e il drastico taglio degli Uffici dei giudici di pace. La riforma, tuttavia, rimane incompleta e la Commissione Vietti ha redatto nel 2016 la bozza di una nuova delega al governo per ultimarla, razionalizzando la distribuzione delle Corti d’Appello e ridisegnando circondari e distretti. A distanza di quattro anni dalla prima riforma e all’inizio del nuovo progetto, il Consiglio Nazionale Forense ha analizzato gli effetti e individuato linee guida future. A partire dall’assunto che «La riforma tocca il cuore della giurisdizione: bisogna interrogarsi sul metodo, anteponendo a considerazioni numeriche il valore dell’amministrazione della giustizia. Non è possibile pensare ad un ufficio giudiziario solo in base a indici perchè, soprattutto nei territori più difficili, la presenza di un tribunale equivale alla presenza dello Stato», come spiegato dal coordinatore della commissione, l’avvocato Giuseppe Iacona.Principio di prossimitàSecondo Davide Carnevali, dell’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari del Cnr, la riforma muove da una ridefinizione del principio di prossimità, non considerata più in termini geografici ma tecnologici. La tendenza è quella di utilizzare politiche di convergenza, costituendo unità operative omologhe in ambiti territoriali omogenei. «La pecca della riforma, però, riguarda il metodo: sono mancate un’analisi scientifica e una fase di sperimentazione. Obiettivo della legge era la riduzione delle corti secondo principi di efficienza ed economicità, ma un intervento così incisivo avrebbe richiesto di ripensare in modo più complessivo la giustizia italiana». La mancanza di una disponibilità alla spesa, perchè la legge delega prevedeva la clausola di invarianza, però, non ha permesso nei fatti di ottenere quei risultati alla base del progetto.I dati del ministero«Il valore considerato è stato la produttività dell’ufficio, in ottica di un efficentamento», ha spiegato Fabio Bartolomei, della Direzione generale delle statistiche del ministero della Giustizia: «Abbiamo cercato un equilibrio tra prossimità, costi e specializzazione degli uffici». L’obiettivo è stato di creare uffici specializzati, cui assegnare categorie di affari omogenee. Nella precedente geografia, 63 tribunali avevano meno di 15 giudici e i 55 tribunali più piccoli servivano solo il 10% della popolazione. Uno studio sulla correlazione tra dimensione e produttività, invece, ha dimostrato che la dimensione ideale è di 40-80 giudici per tribunale. Non troppo piccolo, ma nemmeno troppo grande, dunque. Quanto al taglio delle sedi, il modello è l’Europa continentale. «Solo Portogallo, Spagna, Grecia e Italia pre-riforma hanno in media due corti per 100mila abitanti. Gli stati centrali ne hanno una. Inoltre, ovunque la tendenza sistematica è di chiudere i tribunali più piccoli». Unica pecca, rilevata anche da Bartolomei, è che la riforma si sia voluta fare a costo zero. «Soffriamo la mancanza di budget per la fase di transizione. La vera riduzione dei costi, infatti, avrebbe dovuto passare per l’investimento in risorse umane e tecnologia».Le corti d’appelloAnalizzando i dati Istat, uno studio dell’università Ca’ Foscari ha mostrato come non sia possibile procedere a tagli lineari di riduzione del numero delle 26 Corti d’Appello. Le corti, infatti, sono diverse in termini orografici (per estensione e numero di abitanti), di domanda di giustizia espressa dal territorio (Roma e Napoli hanno assorbito nel 2014 il 25% del carico giudiziario in appello del Paese) e di arretrato. Inoltre, se oggi poco più di un milione di cittadini impiega due ore per raggiungere la Corte d’appello più vicina, nello scenario con 16 Corti si arriverebbe a oltre sei milioni. «Il significato - ha concluso il consigliere Cnf Enrico Merli - non è di difendere lo status quo ma incrociare gli indicatori per individuare qual è il modello più corrispondente alla domanda di giustizia». Altrimenti, il rischio è di allontanare dalla giustizia una parte consistente della popolazione.